martedì 28 dicembre 2010
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Si chiama Medicare – l’assistenza sanitaria a carico del governo federale americano – e suona bene. Tutto ciò che ha a che fare con il care, il prendersi cura, soprattutto quando troppo a lungo da questa possibilità sono rimasti esclusi milioni di cittadini, è un provvedimento atteso e necessario.Barack Obama lo sa, e ha investito molto del suo carisma nella battaglia parlamentare per introdurre il diritto di vedersi assistiti quando se ne ha bisogno anche se non si dispone del denaro necessario per curarsi. Ma il concetto che il presidente ha del care inciampa in talune vistose contraddizioni, e proprio nei terreni della vulnerabilità estrema: dopo essersi battuto per far passare l’inclusione dell’aborto nelle prestazioni sanitarie a carico dello Stato, Obama ha mostrato una volta ancora di avere un’idea individualista e disinvolta del diritto all’assistenza, con una scelta sostanziale e procedurale che lascia esterrefatti.Dal 1° gennaio, infatti, entrerà in vigore il regolamento col quale la Casa Bianca include la consulenza sulle scelte di fine vita nel colloquio annuale con un medico pagato dai contribuenti al quale hanno diritto gli ultra-65enni. Nella visita di controllo – come spiegava il New York Times nell’edizione natalizia – il paziente potrà «stabilire quanto aggressivamente desidera essere curato nel caso si trovasse malato al punto da non poter assumere decisioni sanitarie su se stesso». Un testamento biologico federale in piena regola, probabilmente destinato a suscitare un contenzioso senza fine con le normative dei singoli Stati, non sempre attestate sulla linea dell’autodeterminazione assoluta scelta da Washington.Ma Obama intende portare a casa a ogni costo un progetto che – conti alla mano – potrebbe risultare decisivo per garantire la sostenibilità dell’intera riforma sanitaria. Lo dimostra il fatto che, ancora scottato dall’estenuante (e perdente) braccio di ferro sull’aborto con i repubblicani e una parte del suo stesso partito, ha preferito aggirare il Congresso scegliendo la scorciatoia (vile, diciamolo) del regolamento, ben consapevole del fatto che da inizio anno la maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni di novembre muterà gli equilibri complicando il percorso dei provvedimenti a lui cari da far passare in aula. E dunque, che importa della democrazia se si devono far quadrare i conti? Nel pragmatico sistema di pensiero obamiano una norma sul «fine vita» può essere sottratta al libero voto del Parlamento se in gioco ci sono miliardi di dollari: quelli che sarebbero necessari a garantire cure adeguate agli anziani colpiti da disabilità gravi, malati terminali, vegetativi, o con patologie neurodegenerative.Le malattie croniche e i pazienti nell’ultimo tratto della loro vita pesano infatti per l’80% della spesa sanitaria. E dunque per risparmiare cifre più che cospicue basterebbe un bel colpo di forbice su quello che una cultura tutta impostata sull’efficienza – del corpo come nella gestione dei costi – considera senza vergogna uno 'spreco'. È sufficiente che il medico informi l’anziano su come potrebbe diventare la sua vita nel caso di infermità gravi, e non è difficile immaginare quale potrebbe essere la scelta di molti americani in condizione di fragilità messi sotto pressione da un camice bianco pagato dal governo. Sapendo che i repubblicani, i movimenti pro-life e il mondo cattolico sono pronti a opporsi a una scelta così brutale, Obama ha stralciato dal Medicare il capitolo sul «fine vita», mettendo la sordina alla sua decisione fino alla vigilia dell’entrata in vigore.Ora che finalmente si gioca a carte scoperte, suonano agghiaccianti le domande suggerite ai medici da una docente dell’Università del Michigan per i colloqui con anziani già provati da travagli di salute: «Se lei avesse un altro infarto e il suo cuore si fermasse, vorrebbe che lo si facesse ripartire? Come malato di enfisema, vorrebbe passare il resto della sua vita attaccato a una macchina per respirare? Quando verrà il momento, vorrebbe usare la tecnologia per provare e ritardare la sua morte?». La chiamano care, ma assomiglia maledettamente all’eutanasia.
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