martedì 12 giugno 2012
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Gentile direttore,
ho letto le dichiarazioni dell’onorevole Bersani, leader del Partito democratico, con cui chiede l’istituzione di registri per le coppie di fatto (anche omosessuali), l’introduzione del testamento biologico (con quali limiti non lo dice), e la riduzione delle formalità e dei tempi per ottenere il divorzio. Mi chiedo come facciano molti cattolici a sostenerlo e a rimanere iscritti in un partito che, ormai, ha esplicitato le proprie convinzioni su questi temi.
 
Luca Pirola
 
Gentile direttore,
dietro la maschera seriosa di Bersani si nasconde l’opportunista. Che un politico sia opportunista, nel senso che approfitti delle situazioni per mettere in atto le azioni che la sua missione richiede, è normalissimo. Diciamo che se lo fa con una guida morale veritiera, è meglio. Se infine ritiene che «la politica è la più alta forma di carità» è giusto. Ma non ci è dato sapere a prescindere, perciò atteniamoci ai fatti. Bersani è favorevole alla fine della famiglia, l’unica, e alla sua sostituzione con una entità nebulosa, in cui ci può stare tutto quello che famiglia non è. Ovviamente approfitta, meglio, opportunizza, sulla innegabile arrabbiatura che il successo delle giornate milanesi del nostro amato Santo Padre – che Dio lo conservi meraviglioso com’è – ha prodotto nei movimenti anti–famiglia. Quando una fazione (noi) è forte, le altre normalmente divise tentano di coalizzarsi. Non essendo possibile per motivi di leadership (tutti che vogliono guidare il carro) unire Sel, Idv, Pd, Bersani tenta di accaparrarsi i buonisti e i relativisti presenti in questi partiti(evidentemente ottimi motivatori). Mi viene da domandarmi come possano i cattolici del suo partito sopportare questo. Bersani non brilla per inventiva, poche idee e ben confuse. E si vede che gli hanno detto della scelta di campo di Obama e di Hollande. Quindi perché non buttarla su omofobia e coppie di fatto? Perché non estendere legislativamente diritti (per toglierli ad altri) e difendere da persecuzioni che attualmente non esistono? Non darò il voto a Bersani alle prossime elezioni, nemmeno al suo partito o alla sua coalizione o ai suoi possibili alleati. Perché non voglio fare la sua fine: essere mangiato dall’orso che nutre.
Fabrizio Guarnieri
 
Caro direttore,
la lettera di adesione al "Gay pride" di Bersani è molto utile agli elettori: se diventasse premier, la sua maggioranza promuoverebbe una legge per riconoscere giuridicamente le unioni omosessuali, una per favorire il divorzio "breve", e una contro la possibilità di esprimere dissenso su questi temi (perché a questo servirebbe in pratica una norma "anti-omofobia", visto che le discriminazioni verso chiunque in questo Paese sono già sanzionate dalla legge, a partire dalla Costituzione). Chi non è d’accordo con Bersani si prepari: perché non si tratta di un programma di governo che propone una ricetta per promuovere il bene del Paese su cui si può legittimamente essere pro o contro; si tratta invece di un programma ideologico basato su una concezione dell’uomo e della famiglia incompatibile con la fede cristiana e l’insegnamento morale della Chiesa. Nella cabina elettorale si dovrà scegliere. Per quanto mi riguarda si tratta di un ostacolo insormontabile: anche se su tutto il resto del programma fossi d’accordo, anche se Bersani proponesse ricette che reputo ottime contro la crisi economica, dopo queste dichiarazioni non potrei mai votare Bersani e il suo schieramento. Spero che al momento del voto sia disponibile uno schieramento magari meno "efficiente", meno "presentabile" e meno "politicamente corretto" ma che non pretende di modificare a suon di leggi la morale. Altrimenti mi toccherebbe annullare la scheda.
Benedetto Rocchi, San Polo in Chianti (Fi)
Non mi interessa, cari amici lettori, sciogliere il nodo del perché Pier Luigi Bersani abbia deciso di cavalcare un’onda "obamian-hollandiana", o più modestamente vendoliana, riproponendo la questione del simil-matrimonio tra persone dello stesso sesso. E questo non perché sia irrilevante se il segretario del Pd l’abbia fatto per «opportunismo» o per convinzione. Se cioè la sua dichiarazione d’intenti nasca sulla base di calcoli con un occhio alle primarie e l’altro alle strategie (e alle contingenti manovre) di qualche importante compagno di partito e di qualche ingombrante alleato-competitore o piuttosto per adesione alla visione secondo la quale qualunque tipo di unione, per quanto precaria e non orientata alla generazione di figli (che naturalmente nascono solo da una donna e da un uomo), ha lo stesso valore per il presente e il futuro di un consorzio umano. Tutto ciò conta, ovviamente. Ma in questo momento mi interessa di più, nella sua asciuttezza, il puro e semplice fatto che l’opzione per il «simil-matrimonio gay» sia stata formalizzata in modo netto. Ormai è evidente a tutti che nei Paesi dov’è stato introdotto ha rappresentato solo il primo passo verso quello che viene definito il «matrimonio gay». E io – come tanti, cattolici e no – penso che il matrimonio sia solo tra un uomo e una donna. E so che, anche politicamente, è significativo condividere o meno questa visione. Avvenire, del resto, ha scritto e documentato più volte, dal 2006 in qua, che questioni attinenti alle libere convivenze, anche tra persone dello stesso sesso, sono già state affrontate e risolte secondo diritto (e senza indebite forzature) dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione e che altre possono essere regolate con strumenti contrattuali diversi da quello matrimoniale. La famiglia che nasce da un matrimonio tra un donna e un uomo ha rilevanza pubblica a motivo del bene che realizza per una società, e cioè la creazione di un ambiente almeno tendenzialmente – e, per così dire, programmaticamente – stabile per la vita di una coppia e per i figli che da essa provengono. Si tratta della naturale base di ogni comunità. Ed esattamente in questi termini la nostra Costituzione la riconosce (perché non può certo pretendere di istituirla!) e – ancora larghissimamente inascoltata – proclama la necessità di agevolarla, di sostenerla. Da tempo accade l’esatto contrario, purtroppo. Sul piano cultural-mediatico e su quello economico-fiscale. L’abbiamo documentato con amarezza e allarme un’infinità di volte sulle nostre pagine, in questi anni. Creare alternative al matrimonio e "premiarle" significa disincentivare definitivamente il matrimonio, con quel che ne consegue. E qui non si parla di peccati, né di disprezzo per un qualche tipo di relazione sentimentale (le leggi civili non si occupano di affetti, ma di rapporti sociali rilevanti), bensì di un cupo azzardo contro il futuro di una società indotta non solo a infragilirsi nelle solidarietà di base, ma spinta persino sull’orlo del disastro demografico. Chi dice di voler creare uno strumento solo per le coppie omosessuali non dice la verità, perché non si potrebbe fare. E non riesce a mascherare il vero obiettivo: il matrimonio omosessuale. Istituto che comporterebbe anche la fondamentale possibilità di adottare bambini. Ma un bambino ha diritto a un padre e a una madre, semplicemente, naturalmente. Può trovare altri padri e madri lungo la sua vita, o può perderne uno o entrambi, ma non possono essergli negati nella loro essenziale e complementare diversità già in partenza.
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