martedì 29 luglio 2014
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Gentile direttore,
 
quando un anno fa sulla scorta dell’emozione provocata dal naufragio del barcone di profughi al largo di Lampedusa il governo italiano decise di iniziare l’operazione denominata "Mare nostrum", caratterizzata dal dispiego di numerose unità navali militari nel bacino del Mediterraneo per localizzare precocemente e soccorrere le barche di immigrati diretti sulle nostre coste, il motto fu: "Mai più morti in mare". È passato più di un anno, ma si continua a morire nel Mediterraneo. La cosa però appare abbastanza ovvia. Poiché i viaggi dei poveri migranti sono gestiti da organizzazioni malavitose e da persone senza scrupoli, il miglioramento delle possibilità di recupero ha fatto sì che molti più "disperati" tentassero i cosiddetti "viaggi della speranza" e contestualmente ha consentito alle organizzazioni criminali l’utilizzo di barconi sempre più fatiscenti e insicuri, giustificato dal fatto che gli interventi della Marina italiana potevano avvenire sempre più precocemente e sempre più in prossimità dei punti di imbarco. Da un po’ si invoca l’intervento dell’Europa. Si dice: è un problema europeo, l’Italia non può farcela da sola. A mio giudizio questo è semplicemente spostare il problema, è non volerlo affrontare con quella lucidità e quella capacità di analisi che la politica vera dovrebbe avere e mal si sposa con la emotività con cui è stata messa in piedi l’operazione "Mare Nostrum". I risultati che abbiamo ottenuto sono sicuramente un incremento del numero di morti, un incremento concentrato di arrivi obiettivamente difficili da gestire nella contingenza attuale del nostro Paese, una proliferazione delle organizzazioni criminose che gestiscono questi traffici e dei loro guadagni. Per non parlare poi di chi lascia il suo Paese pagando 1.000-2.000 dollari per la traversata. Credo proprio che il problema non si risolva aumentando il numero di navi e coinvolgendo in questo pattugliamento altri Paesi europei. Il problema, che è obiettivamente difficilissimo, può essere affrontato soltanto mettendo dei punti fermi. E questi punti fermi sono in primo luogo contrasto assoluto al traffico di esseri umani, che vuol dire anche cessare i pattugliamenti per scoraggiare in tutti i modi le partenze indiscriminate e incontrollate. E al contempo riprendere in mano, questo sì con il peso di tutta l’Europa e non soltanto dell’Italia, delle relazioni forti con tutti gli Stati da cui partono i poveri immigrati nell’intento da una parte di cercare di aumentare e rendere diffusi progetti seri di cooperazione in loco e dall’altra di intercettare eventuali richieste già nei Paesi di partenza o nei Paesi loro limitrofi togliendo così dalle mani dei trafficanti per quanto può essere possibile la gestione dei "viaggi della speranza".
Giuseppe Chesi, Reggio Emilia
 
Condivido in buona parte la sua conclusione, gentile signor Chesi, anche se le premesse da cui parte per arrivare a quelle ottime indicazioni sono sbagliate. Non c’è però alcun dubbio sul fatto che sia necessario "strappare" definitivamente vite (tante) e averi (pochi) di profughi e migranti dalle mani spietate dei trafficanti di esseri umani, utilizzando al meglio la rete delle rappresentanze consolari italiane ed europee di concerto con la Ue e ovviamente in piena collaborazione con l’Onu e il suo Alto commissariato per i rifugiati. In un recente convegno alla Camera, trovando significativi punti di contatto tra loro, si sono spesi per questo anche Laura Boldrini, presidente di quel ramo del Parlamento, Angelino Alfano, ministro dell’Interno, e il sottosegretario agli Esteri Mario Giro. E devo dire che comincia a confortarmi la vasta consapevolezza che, anche a livello politico-istituzionale (pur con alcune tristi eccezioni xenofobe), emerge ormai nel nostro Paese su quale sia la via maestra da percorrere per risolvere una delle più impressionanti tragedie di questi anni: lo sradicamento forzoso di milioni di persone che, nell’area mediterranea, sono costrette a lasciare la propria patria a causa della guerra, della persecuzione religiosa e dell’ingiustizia economica, sociale e politica. Sono anche d’accordo con l’importanza di intensificare le attività di cooperazione allo sviluppo. Ma non posso esserlo, gentile lettore, con il suo sommario bilancio della benemerita operazione "Mare Nostrum" scattata dopo l’ecatombe dell’ottobre 2013 nelle acque di Lampedusa: quell’attività di vigilanza e di soccorso umanitario non ha affatto – come lei scrive – provocato più vittime, ma ha scongiurato migliaia e migliaia di morti! Lo stretto monitoraggio ora attuato registra ogni crimine e ogni naufragio nel Canale di Sicilia, mentre per anni e anni – prima e dopo la terribile stagione dei respingimenti ciechi in mare aperto – piccoli e grandi drammi si erano consumati senza alcun clamore, lontano dai riflettori dei media. Questa è l’amara realtà. Amara come quella che spiega l’aumento del flusso di richiedenti asilo: basta guardare la nazionalità di profughi e migranti in arrivo, che in questi mesi provengono per i quattro quinti da Siria ed Eritrea. La guerra in Siria (con le sue gravi conseguenze sui Paesi vicini, a cominciare dall’Iraq) e la tirannia in Eritrea che anche alcuni importanti Stati europei hanno tollerato e persino incentivato – e purtroppo la follia continua – non cessano di produrre frutti di ingiustizia e di sopraffazione, inducendo alla fuga centinaia di migliaia di persone e spingendone una parte, tra coloro che dispongono di qualche bene o comunque riescono a raggranellare le risorse necessarie, verso i cosiddetti "viaggi della speranza" per l’Europa. Viaggi controllati da gang che, oggi, si sono moltiplicate e agiscono con più protervia non certo a motivo dell’impegno umanitario dell’Italia, quanto piuttosto per il tremendo caos scatenato in Libia – principale sponda nordafricana del traffico – dalla guerra condotta con la pesante partecipazione di potenze occidentali ed europee (Francia e Gran Bretagna sostenute con forza dagli Usa e malvolentieri dall’Italia). Guerra che condusse alla fine del regime di Gheddafi, ma solo per precipitare il Paese nell’anarchia che lo domina sempre più. Perciò: bene, anzi benissimo, il suo appello a una svolta radicale nell’atteggiamento degli occidentali, ma proprio per agire con umanità e lucidità, sulla base di un’analisi rigorosa, è indispensabile tener conto di tutte le cause e di tutti gli elementi dell’attuale situazione, e in particolar modo degli errori compiuti. Liquidare come frutto di scelte «emotive» l’assunzione di responsabilità dell’Italia e l’efficace operazione "di supplenza" che svolge per l’intera Ue, è semplicemente un errore. Indietro non si può tornare, bisogna andare avanti, con più Europa: rimuovendo le cause delle migrazioni forzate e continuando a impedire nuove stragi in mare.
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