Mai così tante le persone suicide in cella. Come il governo curerà questa piaga?
venerdì 11 novembre 2022

Sono almeno 76 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, il numero più alto dall’inizio del secolo. Vecellio, un collega impegnato come noi sul fronte dell’umanizzazione dell’esecuzione della pena e del recupero dei detenuti, chiama in causa con rispetto il nuovo esecutivo. Che può e deve finalmente agire

Caro direttore,

lo hanno trovato seduto a terra, intorno al collo il lenzuolo col quale si è impiccato legandosi alle sbarre della cella a Le Vallette di Torino. Accanto un biglietto che spiega la decisione di farla finita per “motivi personali”. Aveva 56 anni e un’accusa di stalking nei confronti dall’ex compagna. Dall’inizio dell’anno è il quarto suicidio nel carcere di Torino, concepito per mille detenuti e oggi riempito di 1.450 persone. E un suicidio c’è stato anche a Saluzzo. Chi conosce a fondo queste realtà avverte che sono i primi giorni quelli “a rischio”, come il caso di Tecca Gambe del Gambia, 28enne accusato di aver tentato di rubare delle cuffiette per il cellullare. Senza documenti, e classificato “sconosciuto”, era stato rinchiuso nella sezione “nuovi arrivi”: 48 ore dopo si è impiccato. A rischio anche il periodo che precede l’uscita. Ci si uccide, spiega Bruno Mellano, garante dei detenuti del Piemonte, perché arriva la sentenza o perché crollano i rapporti familiari, come la richiesta di divorzio della moglie. Con l’ultimo tragico caso, siamo a 76 suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, il maggior numero dal 2009. Ma ci sono anche i tentati suicidi, sventati per il tempestivo intervento della polizia penitenziaria; e ci sono gli atti di autolesionismo. Di fronte a queste realtà bisognerebbe provare a capire il perché, e cominciare seriamente a ripensare il sistema penale e penitenziario di questo Paese. E cos’ha detto in proposito Giorgia Meloni il 27 ottobre scorso, nel discorso programmatico con il quale al Senato ha presentato il suo programma di Governo? Ha definito queste morti «indegne di una nazione civile». Ovvio che di questa situazione non si può ritenere responsabile Meloni e il suo governo, insediato da poche settimane. Tuttavia, si vorrebbe sapere e capire che cosa questo governo intende fare, al riguardo. Quali misure urgenti, oltre a promesse, assicurazioni, rinvii e decreti di dubbia costituzionalità per quel che riguarda rave party e migranti o ergastolo ostativo. Bisognerebbe cominciare tutti noi, non solo i politici, a non usare più certe espressioni, tipo: “È finita la pacchia”; “Devono marcire in galera”; “Buttiamo via la chiave” “ Vanno asfaltati” ...

Valter Vecellio, direttore di “Proposta Radicale”


Hai ragione, caro collega, non è a causa di questo governo che la piaga dei suicidi in carcere è tornata a sanguinare: 76 morti, come certifica con asciutta e terribile eloquenza il contatore-monito curato dagli amici di “Ristretti Orizzonti”. Ma è un fatto che il governo in carica ha il potere di cominciare a curare questa piaga e, se volesse, forse anche di sanarla. Fa sperare che la premier Giorgia Meloni, con nettezza, abbia definito «incivile» la condizione carceraria che porta alle stragi da suicidi dietro le sbarre. Così come promettono bene la storia professionale e le idee saggiamente garantiste a lungo affermate e difese dal ministro della Giustizia (e già magistrato) Carlo Nordio. Induce, invece, a preoccupazione la tendenza purtroppo manifestata dall’attuale maggioranza a rinviare e rivedere le pur limitate decisioni già assunte dal governo precedente, quello con Mario Draghi alla guida e Marta Cartabia alla Giustizia, per riavviare almeno un tratto del percorso di umanizzazione del carcere. E allarma ancora di più che si continuino a mettere in circolazione persino in Parlamento gli slogan brutalmente giustizialisti che tu elenchi in conclusione della tua lettera. Slogan che sono una tradimento dell’umanità e del principio costituzionale scolpito al terzo comma dell’articolo 27 («Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»). Pesa anche il ricordo della sterilizzazione della riforma carceraria varata dalle Camere ormai due legislature fa (all’epoca il guardasigilli era Andrea Orlando e il giurista Glauco Giostra – che i lettori di Avvenire conoscono bene – coordinò sul piano scientifico i lavori degli Stati generali dell’esecuzione penale) e cancellata dalla deliberata e colpevole mancata attuazione della delega all’esecutivo da parte sia del governo Gentiloni sia del primo governo Conte.

E allora, come esortava a fare san Paolo (Rm 4,18), come testimoniava Giorgio La Pira e come ripeteva il tuo vecchio amico Marco Pannella, spes contra spem. Speriamo contro ogni speranza, anche quando non sembra lecito sperare. E questo significa, come tu sai meglio di me, caro Valter, non chiudere né occhi né bocca, e battersi contro l’inaccettabile. Sempre dalla parte della vita più debole, umiliata e persino “sbagliata”.

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