sabato 9 settembre 2017
Determinato e inclusivo nella commemorazione di padre Hamel, esclusivista e franco-centrico sullo scacchiere internazionale. Ecco come il presidente francese tenta di unire sensibilità diverse...
Il presidente Macron (Ansa)

Il presidente Macron (Ansa)

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A quattro mesi dalle elezioni presidenziali del 23 aprile e del 7 maggio, a due e mezzo da quelle legislative dell’11 e del 18 giugno scorsi, ancora ci si interroga sulla reale identità e sulla direzione politica ed economica di Emmanuel Macron, nuovo inquilino dell’Eliseo. Un mutante? Un opportunista? Un geniale interprete dei tempi che cambiano? Il nuovo paladino dell’Europa unita? Un uomo che riuscirà a coniugare Paul Ricoeur, di cui è stato assistente, e l’universo finanziario della Banca Rothschild?

Un’amica francese, cattolica e repubblicana, ha voluto che rivedessimo assieme il breve discorso fatto da Macron in occasione del primo anniversario del barbaro assassinio, nella sua chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, di padre Jacques Hamel, per mano di alcuni jihadisti. Era il 26 luglio 2016 e la Francia intera fu scossa da un brivido terribile e salutare, che le fece riscoprire nel suo intimo le proprie radici cristiane.

Le parole del neo-presidente sono apparse scostarsi profondamente da quelle del suo predecessore, François Hollande, pronunciate all’indomani della morte violenta del mite prete di Normandia che parlava di fraternità: un discorso corretto, ma senz’anima. Macron, fatto insolito per un presidente della laicissima Francia, ha affermato a più riprese valori eminentemente cristiani, come l’amore, il perdono, l’unità. Soprattutto, ha portato a compimento la rivalutazione della religione come elemento indispensabile alla coesione della comunità nazionale, abbandonando il sospetto laicista per ogni collaborazione a pari dignità con essa.

Nel breve discorso del 26 luglio scorso emergono le radici cristiane dello stesso Macron, che ad Amiens, a 12 anni di età, chiese di essere battezzato nella Chiesa cattolica locale pur proveniente da una famiglia agnostica, e che tra il 2000 e il 2002 divenne assistente personale di quel gran filosofo cristiano protestante che fu Paul Ricoeur. Lo aiutò, grazie all’intermediazione del professor François Dosse di cui era dottorando, nella correzione e nella stessa redazione della sua apprezzatissima opera L’histoire, la mémoire et l’oubli, ( La memoria, la storia, l’oblio nell’edizione italiana): Ricoeur era anziano, avanzava a fatica nella fase di finitura dell’opera. La carriera di Macron proseguì più tardi, terminati gli studi all’École National d’Administration, come ispettore delle finanze, quindi nella banca d’affari Rothschild & Cie. Due anni più tardi, nel 2010, gli venne affidato un dossier scottante, la fusione da quasi 12 miliardi di euro tra Nestlé e Pfizer per il settore agroalimentare per l’infanzia. Con l’occasione diventò milionario. E maturò poco dopo la sua carriera politica al fianco di François Hollande, abbandonato poi nel 2015 per intraprendere l’avventura di 'En marche!'.

Memore della sensibilità mutuata (probabilmente da Ricoeur) di un «pensiero tensivo», cioè della convinzione che gli opposti, lungi dal riconciliarsi, possano però correggere mutuamente gli eccessi, Emmanuel Macron pare cercare di 'tenere insieme' campi diversissimi come le sensibilità di destra e di sinistra, la religiosità e la laicità, gli affari e la solidarietà. È lo stesso Macron, quello che commemora padre Hamel e quello che vediamo all’opera nella diplomazia internazionale, europea in particolare? È lo stesso Macron che definisce la colonizzazione francese un crimine contro l’umanità e quello che dichiara che gli immigrati economici vanno rispediti al mittente? Se nella commemorazione del padre Hamel e nella condanna degli abusi francesi in Algeria appare, ancorché determinato, inclusivo e senza paura di rivisitare la storia, nelle sue azioni e nelle dichiarazioni sullo scacchiere internazionale appare piuttosto esclusivista e franco-centrico, con toni duri e intransigenti.

A conferma di questa singolare 'cattolicità' macroniana, il presidente ha varato in questi ultimi giorni il Jobs Act francese, la Riforma del codice del lavoro, una complessa e ambiziosa legge che liberalizza il mercato del lavoro, con una politica che si potrebbe definire 'di destra', pur non disdegnando di ribadire alcune coperture sociali di matrice invece gauchiste. Qual è il vero Macron?

Così le promesse europeiste fatte in campagna elettorale – una delle ragioni, secondo tutti i sondaggi fatti all’indomani del voto, che hanno determinato la sua vittoria al secondo turno su Marine Le Pen col 66,1% dei votanti contro il 33,9 per la leader del Front National – paiono essere ribadite nelle dichiarazioni ufficiali, ma non nella condotta diplomatica. Il recentissimo contenzioso con la Polonia, che non vuole sostenere il progetto macroniano di regolazione del lavoro dei migranti a livello europeo, dimostra quanto Macron disprezzi quanti si frappongono alla sua linea: «La Polonia si mette ai margini dell’Unione Europea su numerosi argomenti... La Polonia non segue in nulla la linea dell’Europa... Il popolo polacco merita qualcosa di meglio...», ha detto pubblicamente il 25 agosto scorso indirizzandosi senza nominarla alla premier polacca Beata Szydo. Sentendosi rispondere dal primo ministro di Varsavia che «forse queste dichiarazioni arroganti sono dovute a una mancanza di esperienza e di pratica politica, cosa che comprendo, Ma mi aspetto che ponga riparo rapidamente a queste lacune che in futuro sia più riservato». Toni durissimi, dunque.

Ma è nei rapporti con l’Italia che più è emersa la contradditoria posizione macroniana nei confronti dei partner europei, su tre fronti: immigrazione, Libia e cantieri navali di Saint-Nazaire. Su quest’ultimo dossier, Macron ha preso tempo sull’offerta d’acquisto di Fincantieri (Stx), dimenticando forse che dal 2008 i cantieri sono proprietà di una società sud-coreana, la Stx Offshore & Shipbuilding, per giunta in regime europeo di liberalizzazione economica. Il presidente francese ha minacciato una nuova nazionalizzazione dei cantieri. Nota è anche la posizione, discutibile per una nazione ex-coloniale, ancora pesantemente coinvolta in affari d’ogni genere con le sue ex-colonie in Africa, rivolta all’Italia: «Noi sosteniamo l’Italia e la Francia deve fare la sua parte sull’asilo di persone che chiedono rifugio. Poi c’è il problema dei rifugiati economici: l’80% dei migranti che arrivano in Italia sono migranti economici. Non dobbiamo confondere». Quindi vanno rispediti a casa loro. Quindi solidarietà con l’Italia, ma mai e poi mai questi migranti cosiddetti economici troveranno accoglienza in Francia. Da notare come le dichiarazioni sulle migrazioni di Macron, a conferma del suo pensiero 'tensivo' siano sempre accompagnate da dichiarazioni sulla necessaria dignità della persona umana.

Terza questione, molto diplomatica apparentemente, in realtà assai legata ai rapporti economici ed energetici con Tripoli e Bengasi, è l’atteggiamento da avere nei confronti della Libia. Parigi ha riunito a La Celle-Saint-Cloud, nei pressi di Parigi, i due grandi nemici Haftar e al Sarraj, con tanto di stretta di mano mediatica, riuscendo in un’operazione a cui da tempo l’Italia lavorava... Salvo che, già un’ora dopo il presunto accordo è stato minato dagli stessi protagonisti. Fino all’incontro di Parigi dei leader europei del 28 agosto scorso, in cui la diatriba è rientrata nel fair play diplomatico. Nei prossimi mesi forse si capirà qual è il vero Macron. Più Ricoeur o più Rothschild? Inclusivo o esclusivo? Europeista o francocentrico? Per la solidarietà con l’Africa o per la riaffermazione degli interessi nazionalisti nel continente nero? O forse no; forse emergerà che Macron è un uomo per tutte le stagioni.

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