giovedì 8 giugno 2023
Da cosa ha origine la difficoltà a realizzare opere necessarie allo sviluppo
Ma siamo sicuri che è sempre e solo colpa della Burocrazia?
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Il colpevole di ogni omissione, intralcio e ritardo, della mancata conclusione di opere, da ultimo quelle del Pnrr, è stato ormai individuato in modo unanime: è la Burocrazia; e la risposta che viene invocata è la Semplificazione. Con questa analisi, da tempo, i Governi si autoassolvono per le proprie inefficienze, dei risultati mancati, degli obiettivi non raggiunti, come se la Burocrazia vivesse al di fuori del tempo e dello spazio e non spettasse proprio ai Governi risolvere il problema. L’individuazione del colpevole è resa più agevole dal fatto che si tratta di una fattispecie dai contorni indefiniti e quindi vi si possono riconnettere una pluralità di figure: la Pubblica Amministrazione, l’insieme dei funzionari pubblici, il “pubblico” più in generale. In effetti la delegittimazione della Burocrazia ha trascinato con sé tutta la Pubblica Amministrazione e il “pubblico”, assunto a priori come inefficiente a differenza del “privato” efficiente a priori.

Ogni nuovo Governo si è dato l’obiettivo di affrontare il problema creando anche strutture, perfino Ministeri, per la riforma della Burocrazia e per la Semplificazione. Lo hanno fatto i precedenti Governi, lo fa quello attuale e lo faranno certamente anche quelli che verranno. Quando un fenomeno si protrae nel tempo resistendo a ogni tentativo di rimuoverlo ci si deve chiedere quali siano le ragioni di fondo che lo determinano e perché si siano dimostrate poco efficaci, o addirittura dannose, le misure adottate. Va osservato anzitutto che il fenomeno burocratico si verifica ed è stato studiato da vari decenni in tutti i paesi del mondo. Corrisponde a un atteggiamento dell’animo umano che tende a esorcizzare il rischio, a sottrarsi alle responsabilità, a trincerarsi dietro l’osservanza della forma prescindendo dal considerare i risultati da raggiungere e la tutela degli interessi sottostanti. Nella sfera pubblica il fenomeno si manifesta in modo emblematico perché il coacervo delle norme rende incerta ogni operazione ed espone gli agenti a vari tipi di rischio. Si determina quindi la tendenza al non agire, al trincerarsi dietro il “non si può” anche quando si potrebbe, anzi si dovrebbe. Questo, però è il lato debole di una attività che corrisponde a interessi fondamentali delle persone e delle collettività. Lo ha ricordato recentemente il Cardinale Zuppi: «Le istituzioni non sono un freddo appartato burocratico. Sono uno strumento essenziale per costruire e promuovere beni-valori assolutamente essenziali per la qualità della vita di persone e comunità», «vi lavorano persone che … operano in condizioni difficili … delle quali non sempre si apprezza il servizio».

Un certo grado di complessità dell’azione amministrativa non è un dato negativo; deriva dalla necessità di tutelare diversi interessi. Le grandi riforme degli anni Novanta, e in particolare la legge 241, hanno sostituito la logica del provvedimento autoritativo con quella del procedimento, che deve raccogliere, prima di provvedere, tutti gli interessi che vi sono coinvolti. La tutela si ottiene attraverso la partecipazione. È un grande risultato al quale è arrivata la cultura giuridica. È vero che da allora, anche per effetto di quella che abbiamo chiamato «la moltiplicazione dei diritti», i procedimenti si sono ingolfati, faticano ad arrivare alla conclusione, i provvedimenti che ne risultano sono più esposti alle impugnazioni in sede giurisdizionale, dove si portano dietro le proprie incertezze, con esiti spesso defaticanti (basti pensare che il 40% delle sentenze dei Tar impugnate vengono annullate dal Consiglio di Stato). Si capisce, allora, come vi sia la tentazione di procedere comunque a semplificare, ma il rischio è di non selezionare gli aspetti positivi da quelli negativi.

Negli ultimi anni si assiste a una legislazione schizofrenica che da un lato aumenta gli interessi da tutelare e aumenta anche gli organi che devono farlo, dimenticando l’insegnamento che risale a San Tommaso: entia non sunt moltiplicanda sine necessitate, dall’altro procede con semplificazioni selvagge. Si accresce la complessità organizzativa e si semplificano i procedimenti che ne conseguono. In effetti la semplificazione è molto complessa perché, se ben fatta, implica una analisi degli interessi e una scelta di quelli da tutelare. Qualche esempio può essere utile. Da tempo tutti i procedimenti che hanno un impatto sull’assetto del territorio non possono prescindere dalla tutela dei beni paesaggistici, storici e culturali. Lo ha prescritto la Costituzione del 1948 che, come si sa, non prevedeva una analoga tutela per l’ambiente, introdotta solo di recente nel testo costituzionale perché in passato il problema non era emerso. Ora quindi esiste anche un vincolo ambientale che risponde a un interesse essenziale, anche di rilevanza europea, e vi sono apposite Autorità che ne curano l’osservanza. Il ritardo che ne consegue nei procedimenti è indispensabile per tutelare l’ambiente. Ma altri interessi sono poi emersi, anche qui con organismi di tutela, ad esempio quello alla cd privacy e quello dell’anticorruzione, e anche questi comportano un aggravio nella attività dell’Amministrazione.

Qui va fatta una scelta: se si da per scontato che tutti questi interessi vadano tutelati è sbagliato scaricare il problema sulla Burocrazia e invocare ogni sorta di semplificazione. Altrimenti occorre fare una selezione. Non si può sacrificare l’interesse all’ambiente, per ragioni più che ovvie, ma ci si può chiedere se sono inevitabili tutti gli appesantimenti che derivano dalla Autorità di tutela della privacy (le cui funzioni sono certamente utili ma aggravano a volte oltre misura le attività delle Amministrazioni e anche quelle dei privati) e dalla Autorità Anticorruzione, invasiva di ogni gara che rallenta i procedimenti e pone a carico di ogni stazione appaltante e degli operatori privati le entrate per il proprio funzionamento alle quali il nuovo codice degli appalti ha aggiunto la metà degli importi delle sanzioni che essa stessa eroga. Non è scontato che la lotta alla corruzione richieda necessariamente questo tipo di interventi. Altri tipi di appesantimenti derivano dalla necessità di sottoporre a controllo, in particolare quello della Corte dei conti, le attività delle Amministrazioni per garantirne la legittimità e misurarne l’efficienza. Ma non è detto che il controllo debba essere concomitante allo svolgimento dell’attività, con un evidente aggravio, tanto è vero che fino a poco tempo fa questo tipo di controllo non esisteva e non si vede quindi perché non possa essere rimosso, mantenendo quelli tradizionali.

Il problema della semplificazione non è suscettibile di scorciatoie. La necessità di perseguire gli obiettivi del Pnrr sta inducendo a forme di semplificazione non sempre calibrate, specie se le si ritiene applicabili anche al di fuori dell’emergenza. Anche la tanto declamata “soluzione Genova”, non è riproducibile perché rendeva inefficaci tutte le norme salvo quelle penali e, tra l’altro, era confusa perché manteneva inevitabilmente l’efficacia di quelle europee. Quello che comunque non si può fare è continuare a danneggiare la Pubblica Amministrazione, con una riduzione degli organici che ne sta minando il funzionamento (ben venga quindi la norma che dispone nuove assunzioni anche per favorire il conseguimento degli obiettivi del Pnrr) e con lo spoil system, applicato prima dalla Sinistra (dietro il nome della separazione fra Politica e Amministrazione) e ora dalla Destra, in nome dell’efficienza che si otterrebbe mettendo gli alti funzionari in condizione di totale subordinazione alla Politica. Il presupposto per avere una Amministrazione efficiente, che diminuisca gli aspetti negativi della burocrazia, è il rispetto del personale che in essa opera.

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