Ma la svolta è possibile
mercoledì 22 febbraio 2023

La vera differenza tra i discorsi che Joe Biden e Vladimir Putin hanno pronunciato in questi giorni non sta tanto nelle ragioni della guerra, ovviamente contrapposte, o nelle valutazioni sulle operazioni militari. Lo spartiacque sta invece tra un Biden che s’impegna per parlare al mondo e propone gli Stati Uniti come esempio di Paese capace di unire e aggregare in base a un capitale di ideali condivisi, e un Putin che continua a parlare di un mondo a sé stante: la Russia, multietnica, multiconfessionale, autonoma, portatrice di una cultura e di una fede inimitabili e ultimo baluardo della tradizione.

Negli argomenti dell’uno come dell’altro leader, ma nel caso di Putin in misura ormai ossessiva, torna non a caso il riferimento all’ultimo grande conflitto combattuto in Europa. Che per gli americani e per noi europei è la Seconda Guerra Mondiale mentre per i russi è la Grande Guerra Patriottica. Per noi l’entità collettiva degli Alleati, per loro l’Armata Rossa, sola ma in sé plurale. Come dice Putin: « Il nostro popolo multinazionale».

In quest’ottica, Vladimir Putin ha pronunciato davanti alle Camere russe riunite (e al patriarca Kirill, in prima fila accanto a “falchi” come l’ex presidente Dmitrij Medvedev e il presidente della Duma Vyacheslav Volodin) un discorso a uso soprattutto interno. Ha parlato ai russi, proponendo loro le solite ricostruzioni ma ancor più invitandoli a una specie di collettivo sospiro di sollievo.

Ha vantato la tenuta generale dell’economia (meno 2,1% del Pil nel 2022), il calo della disoccupazione (ora al 3,7%), le buone prestazioni del sistema bancario (203 miliardi di profitti l’anno scorso). Come se il Cremlino avesse fatto il punto dopo un anno di sanzioni e di guerra, scoprendo con un po’ di stupore che le cose erano andate meglio del previsto.

Non sono stati citati, ovvio, i lati critici. Per esempio, le decine di migliaia di tecnici qualificati che hanno preferito emigrare, i capitali fuggiti in Paesi come Kazakhstan o Georgia (qui sono 110mila i conti correnti aperti da cittadini russi negli ultimi dodici mesi), la crescente dipendenza dai mercati orientali (il 25% degli scambi commerciali avviene ormai con la Cina, in questo la Russia è seconda solo alla Corea del Nord), la militarizzazione dell’industria e così via.

Anzi, Putin ha persino annunciato un «nuovo ciclo di crescita economica» basato sull’orgogliosa indipendenza dall’Occidente, dai suoi prodotti e dalle sue trame, e su una modernizzazione tecnologica che ha proprio nell’industria della difesa il primo motore. Appena due giorni fa Sergeij Chemezov, presidente del gigante Rostekh, annunciava che il complesso industrial-militare sta realizzando «volumi colossali» di nuovi prodotti e che in alcuni settori la produzione è aumentata di 50 volte. Il presente bellico e il futuro economico si sono poi riuniti nel duplice annuncio: la Russia sospende (ma non straccia) il Trattato Start 3 (firmato da Usa e Russia nel 2010 e rilanciato nel 2021 per contenere testate nucleari e missili intercontinentali) e le sue forze nucleari sono al 91% di aggiornamento e modernizzazione.

Seguendo il rimbalzo Kiev-Mosca-Varsavia, e gli echi degli interventi di Biden e di Putin, si può pensare a un generale inasprimento del confronto. Si veniva, d’altra parte, dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, dove gli slogan intransigenti si erano sprecati. Però c’è un movimento che non possiamo attribuire solo alle ragioni del marketing politico e al primo anniversario dell’invasione russa. Sappiamo che Washington e Mosca si parlano, e che il viaggio di Biden tutto era tranne che segreto. Davvero il presidente Usa è andato a Kiev solo per una photo opportunity e per promettere a Zelensky ciò che gli promette, mantenendo, da un anno? O forse Biden aveva anche altro da dire?

Il tono del discorso di Putin, poi, quasi più da consiglio d’amministrazione che da gabinetto di guerra, apre più curiosità di quante ne soddisfi sulle convinzioni del Cremlino all’inizio del secondo anno di guerra. Non dimentichiamo che nel 2024 si voterà in Russia e in Ucraina per scegliere il Presidente e rinnovare il Parlamento, e negli Usa per il Presidente.

A chi converrebbe arrivarci combattendo? Sarà per questo che molti prevedono (invocano?) una svolta per la primavera-estate? Nel movimento generale – Cina e Brasile stanno entrando in partita – si vede poca e nulla influenza dell’Unione Europea. Speriamo di non essere proprio noi, dopo gli ucraini e i russi i più coinvolti nella tragedia in corso, a farci sfuggire l’occasione buona per dire la parola giusta. Il momento giusto per farlo non è mai passato, e sinora non ne siamo stati capaci.

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