sabato 5 marzo 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
«Il dolore degli altri mi incute soggezione, oltre che rispetto. Mi colpisce molto», diceva Enzo Biagi. Pronto soccorso di un ospedale medio-grande del centro Italia, la notte scorsa. È un normale giorno feriale eppure qui dentro stanno "ballando". C’è tanta gente, decine e decine di parenti, in sala d’attesa. Un’infermiera raggiunge la macchinetta del caffè, v’infila due monete e a qualcuno che conosce sussurra «abbiamo due codici rossi, due infarti». Spiega che la direzione ha dovuto richiamare un paio di colleghi dal riposo. «Una serataccia».Nessuno sorride in questa sala. Negli occhi – tutti – c’è paura. O speranza. O attesa impotente. E il desiderio, sempre, d’aggrapparsi alla vita di chi si ama, comunque possa finire dietro la porta sulla quale è accesa la grande scritta rossa "Emergenza in corso". Qualcuno parla sottovoce con qualcun altro di un incidente fra un’auto e una moto, di rilievi e precedenze e documenti. Un uomo e una donna, seduti, discutono sottovoce di ragazzi che si drogano. La sala d’attesa sembra immensa eppure troppo piccola, ma è ben illuminata: quasi rassicura, in qualche modo.Sì, di tanto in tanto bisognerebbe andare a trascorrere qualche ora in un pronto soccorso come questo. Per capire e, forse, ricordare. Per rendersi conto che nessuno qui dentro imbastisce dispute ideologiche e ancor meno propina grottesche teorie spacciandole per "libertà", specie a chi adesso è asfissiato dal terrore che un medico esca per dirgli che sua moglie o suo figlio o suo padre non ce l’ha fatta.Non è un film e neppure un’emozionante fiction o un talk show. È realtà. Qui (quasi sempre d’improvviso, e spesso quando non te l’aspetti) l’erba la si vede dalla parte delle radici. Qui, ogni giorno, più chiaramente che altrove, la vita e la morte vengono a giocarsi la loro partita. E chi rimane in sala d’attesa può solamente attendere il risultato. A loro, a me, sofismi e filosofia spicciola di certi cantori della "dolce morte" provocherebbero nausea e nient’altro.È grande, e in bella vista, anche il manifesto con i codici di priorità che vengono immediatamente assegnati all’ingresso (bianco, giallo, verde e rosso, in ordine crescente di gravità). Li guardo e mi torna in mente, chissà perché, la frase di Silvie Menard, oncologa malata di cancro: «L’eutanasia è la tentazione dei sani». Vero. Avrebbe forse potuto soltanto aggiungere «e di chi osa classificare la dignità delle vite».Un ragazzo piomba, trafelato, portando una borsa con il cambio per qualcuno appena ricoverato...  Arrivano un papà e una mamma, giovani, entrambi non superano i 25-26 anni: lei ha fra le braccia un neonato avvolto nelle coperte e la fanno subito passare, ma non prima che si resti feriti dal suo sguardo e dalla loro paura.La notte scorre lentissima e pesante. Fuori si gela, sotto un cielo limpido e carico di stelle. Si aprono le porte del Triage (lo stanzone dove si valuta il "codice" di priorità da assegnare a chi si presenta nel pronto soccorso) e ne esce una barella spinta da un infermiere: vi è adagiato un vecchissimo uomo, la coperta fin sotto il mento, gli occhi sbarrati a seguire le luci sul soffitto, la bocca spalancata per non perdere neanche un filo d’aria. Senza mollare. È così: può scoprirsi guerriero – pur non avendo mai sognato di esserlo – chi è stato costretto a venire qui o a portarci una persona che ama.In queste stanze, in questi corridoi, non ci si può arrendere. Si tiene duro. Si infilano le unghie nella vita – la propria o quella di chi ci è caro – per infonderle forza di resistere (che poi ci sarà tempo per spendersi a ricostruirla, come e quanto si potrà…). Non c’è voglia, né delirio, di arrogarsi la presunzione che esistano vite "minori" e "indegne". Non c’è, in questa assoluta condizione di urgenza, la voglia di presentare una volontà propria, ma di accogliere una sapienza amica e un’abilita di cura. C’è voglia di sapere e di sentire alleati gli uomini e le donne in camice bianco. Perché, sull’orlo del baratro, i parametri fittizi, quelli ideologici e quelli facili svaniscono. E finalmente riusciamo a vedere l’altro volto nostro e del mondo. Quello vero.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: