L'unica convenienza di cittadini e lavoratori
venerdì 26 gennaio 2018

Finalmente anche le istituzioni italiane hanno deciso di dare battaglia all’obsolescenza programmata. Lo dimostra la recente decisione dell’Autorità garante della concorrenza di avviare due procedimenti nei confronti di Samsung e Apple per capire se abbiano «posto in essere una generale politica commerciale volta a sfruttare le carenze di alcuni componenti per ridurre nel tempo le prestazioni dei propri prodotti e indurre i consumatori ad acquistare nuove versioni degli stessi».

Intanto in Francia la battaglia per la democrazia economica ha fatto un altro passo avanti con la richiesta di verità non solo sulla qualità tecnica dei prodotti, ma anche su quella morale e sociale. Tramite un esposto all’autorità giudiziaria, alcune associazioni francesi, fra cui Sherpa e Peuples Solidaires, hanno accusato Samsung di pubblicità ingannevole per discordanza fra l’eticità ostentata e le condizioni di lavoro riscontrate negli stabilimenti dei suoi terzisti cinesi e vietnamiti. A riprova hanno citato i rapporti redatti da China Labor Watch, un’associazione che tramite alcuni membri infiltrati negli stabilimenti cinesi che producono per Samsung, ha documentato tempi di lavoro eccessivi, violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza, maltrattamento dei lavoratori, ricorso massiccio a lavoratori precari e stagionali di età inferiore ai 16 anni. Una situazione che farebbe del colosso sudcoreano non un esempio di responsabilità sociale, ma di fair washing: l’eticità esibita per finalità puramente di marketing.

Le autorità francesi appureranno se le accuse sono fondate. Ma al di là dell’esito, il ricorso presentato da Sherpa e Peuples solidaires è di importanza strategica perché includendo le questioni etiche fra i temi che possono costituire motivo di pubblicità ingannevole, apre la discussione attorno a una serie di princìpi che nell’epoca della globalizzazione vanno ridefiniti se vogliamo ritrovare la bussola rispetto ai diritti umani, sociali e ambientali.

La prima questione riguarda il concetto di valore e di convenienza. Secondo l’ideologia dominante l’unico valore esistente è quello economico che si persegue portandosi a casa la maggior ricchezza possibile al minor prezzo possibile. E poiché nella concezione mercantilista anche il lavoro e l’ambiente rappresentano costi che contribuiscono ad appesantire il prezzo, applicando in maniera ossessiva la logica monetaria finiamo per renderci complici di sfruttamento e degrado. Un destino che però possiamo spezzare, se riscopriamo l’antica saggezza popolare che non teneva conto solo del valore economico, ma anche di quello relazionale. Un concetto che possiamo riassumere col detto evangelico che «non di solo pane vive l’uomo», ma anche del bisogno di pace, armonia, serenità, sicurezza, conforto, fiducia. Obiettivi che si raggiungono garantendo rispetto e prospettive di vita a tutte le creature. Perché lo abbiamo imparato: ogni sopruso, ogni violenza, ogni contaminazione, perpetuata non importa dove, si ripercuote negativamente sulla vita di ciascuno di noi sotto forma di precarietà, perdita di diritti, attentato alla salute, militarizzazione. È l’«effetto farfalla» di cui parla Edward Lorenz, secondo cui «un battito d’ali in Brasile può provocare un tornado in Texas». E allora ecco la convenienza - sempre richiamata su queste colonne - a smettere di comprare inseguendo solo il prezzo e la qualità tecnica, ma 'votare col portafoglio' preoccupandoci anche del grado di rispetto garantito ai lavoratori, alle comunità, all’ambiente.

Ed è proprio l’interdipendenza a mettere in discussione un altro caposaldo dell’ideologia dominante. Quello che pretende di eleggere l’azionista e il profitto a unici referenti dell’impresa. Ma come aveva ben chiaro Adriano Olivetti, l’impresa non è un’entità isolata. Riesce a vivere e prosperare solo se ha la collaborazione di molte altre entità: i lavoratori, prima di tutto, ma anche la natura, i consumatori, la comunità. Nessuna azienda potrebbe funzionare senza il lavoro delle maestranze, senza gli acquisti dei consumatori, senza il contributo della natura, senza i mille servizi offerti dalla comunità. Per cui bisogna avere il coraggio di dire che l’impresa è un’entità sociale che appartiene a tutti coloro che contribuiscono al suo funzionamento. Soggetti che acquisiscono di diritto la posizione di soci titolati a godere equamente dei suoi benefici e a determinare le sue scelte.

Non è più concepibile che le aziende decidano da sole se stare o andarsene in un dato territorio, lasciando dietro di sé, decine, se non centinaia, di famiglie sul lastrico. Come non è più concepibile che si costringano i consumatori a diventare complici involontari delle peggiori violazioni di diritti e qualità della vita umana e non solo. Ecco l’importanza della trasparenza come primo passo verso la democrazia economica. Trasparenza che deve essere ampia, puntuale e soprattutto veritiera. Altrimenti non c’è democrazia, ma cinico marketing, la peggiore delle manipolazioni.

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