domenica 8 aprile 2012
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Oggi è Pasqua, culmine della nostra speranza e della Settimana Santa. “Settimana autentica”, la chiama il rito ambrosiano. Autentica perché è svela­to il volto autentico di Dio e dell’uomo. Volete sapere qualcosa di voi e di Me? – dice il Signore – Vi do un appunta­mento: un uomo in croce. Volgete lo sguardo a Colui che è posto in alto. Prima ancora, giovedì, l’appuntamen­to di Dio è stato un altro: uno che è po­sto in basso. Che cinge un asciugama­no e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi è Dio? Il tuo lavapiedi. In ginocchio da­vanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come a Pietro, ci viene da di­re: ma Tu sei tutto matto. E Lui: sono co­me lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ri­torno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo: il cristianesimo è scandalo e follia. E io, nella vita, di fronte all’uomo che atteggiamento ho? Quanto somiglian­te a quello di Dio? Sono il servitore del bisogno e della gioia di mio fratello? So­no il lavapiedi dell’uomo? Ve la imma­ginate una umanità dove ognuno cor­re ai piedi dell’altro? La globalizzazio­ne sì, ma degli inchini davanti all’uomo, non davanti ai potentati; dell’onore da­to a ogni più debole figlio della terra. In questa settimana autentica, l’au­tentico Dio è così: è bacio a chi lo tra­disce. Non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non chiede più sacrifici a me, sacrifica se stesso per me. Non proibisce di prendere, co­me per l’albero del bene e del male, ma ordina: prendi e mangia, prende­te e bevete. Dov’è la salvezza? Quando io lo uccido e Lui mi guarda e mi ama. Quando, dal­la mia vittima, ricevo la sentenza di gra­zia. Dalla sua ferita aperta non esce rab­bia o rancore ma è feritoia da cui esco­no sangue e acqua. Sangue che è amo­re; acqua che è inizio e innocenza. Il fe­rito che ti ama ti converte. O ti accechi del tutto o ti umanizzi. Ne esce capo­volta ogni immagine di Dio e dell’uo­mo. Dio ai tuoi piedi il giovedì. Venerdì il pathos della ferita, feritoia d’amore. Ieri, sabato, condivisione fino agli inferi della sorte dell’uomo. E ora la Risurrezione, il tema più arduo e più bello di tutta la Bibbia. L’articolo di fede su cui poggia tutto l’edificio cri­stiano, « stantis vel cadentis Ecclesiae », con il quale la Chiesa sussiste, senza il quale si dissolve. Senza la Risurrezione non esisterebbe la Chiesa. Il ricordo, per quanto vivo, non basta a rendere viva una persona. Il ricordo di Gesù sa­rebbe stato sufficiente al massimo per creare una Scuola dove coltivare l’in­segnamento, il pensiero, l’esempio. La Chiesa è nata da una presenza. Il cristianesimo è l’unica religione fon­data sulla Risurrezione. Se Cristo non è risuscitato, l’annuncio cristiano è u­na scatola vuota, la fede è una cisterna senz’acqua, una conchiglia senza per­la, un violino senza corde. La Risurre­zione non è un’invenzione dei disce­poli. Sarebbe stato mille volte più faci­le, più convincente, fondare il cristia­nesimo sulla vita di Gesù, tutta dedita al prossimo, alla guarigione, all’inco­raggiamento, al perdono dei peccati, a togliere barriere e pregiudizi. Una vita buona, bella e felice, da proporre. Sa­rebbe stato molto più facile fondare il cristianesimo sull’insegnamento di Ge­sù, sul discorso della Montagna, sui di­scorsi d’addio, vette del pensiero uma­no e religioso che bastano a nutrire u­na vita. E persino fondarlo sulla Pas­sione, su quel suo modo di raccontare Dio, di porsi davanti al potere religioso di Caifa, al potere politico di Pilato, e di metterli a nudo. Sul suo modo di mo­rire perdonando. La Risurrezione come fondamento del­la religione cristiana non è una scelta degli apostoli, è un fatto che si è impo­sto. La sera di Pasqua un grido sale a Gerusalemme: «Il Signore è veramen­te risuscitato!» (Luca 24,34).V eramente: e non apparentemente, come se fosse presente attraverso il ricordo e la nostalgia; come se la Risurrezione fosse qualcosa accaduto dentro i discepoli e le donne, e non a Gesù. Veramente: e non probabilmente, come se la cosa non fosse sicura ma plausibile, una ipotesi che può spiegare il corpo assente dal sepolcro. Veramente: e non simbolicamente, come se la Pasqua indicasse le energie del cosmo e dell’uomo che si sprigionano e portano la certezza che la vita vince sulla morte. L’autentico Dio in questa settimana autentica: Dio non è mai se stesso come quando fa risorgere. La Risurrezione è «la tangente di Dio che sfiora il nostro mondo mortale» (Karl Barth). Siamo presi per il polso da Gesù (nelle icone orientali della Risurrezione Cristo afferra Adamo per il polso, là dove si sente pulsare la vita e battere il cuore), trascinati in alto dal Risorgente in eterno: chi vive in Lui, chi è in Lui compreso, è preso da Lui nel suo risorgere. Cristo non è semplicemente il Risorto: egli è la Risurrezione stessa. L’ha detto a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita» (Giovanni 11,25). In quest’ordine preciso: prima la risurrezione e poi la vita. Ci saremmo aspettati il contrario, invece prima viene la risurrezione, da tutte le nostre tombe, dal nostro respiro insufficiente, dalla vita chiusa e bloccata, dal cuore spento, dal gelo delle relazioni. Prima la risurrezione di noi, né caldi né freddi, né buoni né cattivi – «di noi, i morti vivi», scriveva Charles Peguy –, poi la vita piena nel sole, la vita che meriterà finalmente il nome di vita. La Risurrezione non riposerà finché non sia spezzata la tomba dell’ultima anima, e le sue forze, come cantava Mario Luzi, non arrivino all’ultimo ramo della creazione: «Tu tutto in tutti,/ il mondo intero/ carne risorta/ per la Tua carne,/ crocefisso amore».
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