sabato 4 aprile 2015
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L'accordo raggiunto a Losanna tra il sestetto di mediatori internazionali e Teheran sul nucleare iraniano – una cornice, più che altro: i veri dettagli del quadro sono ancora tutti da definire – lascia quasi tutti molto perplessi, tanto che una diffusa aura di scetticismo accompagna i pur legittimi proclami di compiacimento per il risultato raggiunto. Contraria con decisione è Gerusalemme, che chiede che ogni accordo finale con l’Iran includa un chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele di esistere. Scettici e sostanzialmente ostili all’intesa sono i repubblicani che dominano il Congresso a Washington e si preparano a un severo esame parlamentare che potrebbe anche bocciare il risultato diplomatico messo a segno dal segretario di Stato John Kerry. Perplessità rimbalzano anche dalla Francia, contraria all’abolizione immediata delle sanzioni a Teheran, e perfino dagli stessi ultraconservatori iraniani, secondo i quali l’accordo – che la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, da sempre guardava con diffidenza – rappresenta una capitolazione dell’Iran davanti alle potenze occidentali. In questa babele di sfumature – dove si stagliano il compiacimento russo del ministro degli Esteri Sergei Lavrov accanto al trionfalismo del presidente Rohani, il muso duro di Israele a fronte del cauto scetticismo dei media americani e all’esplicita diffidenza del re saudita Salman bin Abdulaziz – non ci si può nascondere che in buona sostanza nessuna delle strutture nucleari iraniane sarà effettivamente chiusa e nessuna delle 19mila centrifughe smantellata, e che anzi l’arricchimento dell’uranio continuerà con 5mila centrifughe. E nemmeno si può tacere il fatto che, perfino nelle ultime fasi dell’accordo di Losanna, Teheran riconfermava che «la distruzione dell’Entità Sionista (così chiamano lo Stato di Israele i vertici iraniani) è una priorità non negoziabile». Un accordo fragile, insomma, non privo di lati ambigui (la traduzione dall’inglese al <+CORSIVOA>farsi <+TONDOA>rivelerebbe secondo alcuni importanti difformità) e che necessiterà di grande freddezza nella stesura dei risvolti tecnici di qui al 30 giugno. Il che non oscura tutte le luci, e non nega il sostanziale successo del sestetto e neppure quello personale (il primo) dell’Alto rappresentante per la Politica Estera della Ue Federica Mogherini, che non a caso intravede nell’accordo di Losanna e nella sconfitta dei "falchi" di entrambi gli schieramenti «l’inizio della costruzione di un nuovo quadro regionale, che può essere decisivo nella gestione delle crisi, dalla Siria, allo Yemen, all’Afghanistan». E qui veniamo a un paio di punti secondo noi cruciali, che inducono a valorizzare le luci che sono state accese. Il primo è di natura geopolitica. Un Iran che, come rileva Mogherini, rientra in gioco nel complesso mosaico mediorientale è senz’altro più utile di un Iran che viene tenuto e fa di tutto per farsi tenere in isolamento. Nell’intricato canovaccio che si cela dietro l’incendio che avvampa dall’Iraq al Kenya, dalla Libia del Califfato alla Nigeria di Boko Haram e allo Yemen (pensiamo solo alla tutela russa che non da ieri Mosca offre a Teheran e all’impensato avvicinamento fra Israele e i sauditi) l’apporto iraniano potrebbe paradossalmente giocare un ruolo positivo. Ma tutti sanno che le ragioni della guerra e della pace sono spesso le medesime e dove non arriva la diplomazia è il profumo degli affari ad avere la meglio. Per la comunità internazionale l’Iran rappresenta infatti un mercato da 800 miliardi di dollari. Un boccone ghiottissimo per le imprese di tutto il mondo, a cominciare da quelle italiane, che nei tempi d’oro vantavano un volume di scambi con Teheran stimabile attorno ai 7 miliardi, precipitati a causa delle sanzioni a 1,2 miliardi. Il medesimo discorso vale per la Germania (principale esportatore verso l’Iran) e la Francia, attivissima nell’export, ma già ora il corteo di società estere che investono in Iran è piuttosto affollato e nei prossimi mesi, se le sanzioni verranno davvero rimosse, non potrà che ingrossarsi. Dal canto suo Teheran riaprirà prima o poi i rubinetti del petrolio inondando un mercato già saturo di ulteriori milioni di barili. Non necessariamente un bene per l’Opec, ma i prezzi prima o poi – stimano gli analisti – finiranno per stabilizzarsi. Potere dei mercati e degli affari. Che ogni tanto, ma è raro, vanno a braccetto con la diplomazia. E propiziano persino passi di pace. O, almeno, non li ostacolano.
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