domenica 14 febbraio 2016
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La semplicità dell’incontro è stata un contrappunto perfetto alla potenza dell’evento. Vorrei però confessare, in tutta modestia, che la sua musica di fondo mi risuona in una tonalità un po’ diversa da quella che ascolto tra le righe di molti commenti. Non è tanto importante il luogo e il contesto, si dice, non sono decisive le parole e i comunicati, che sono debitori delle necessarie alchimie diplomatiche e comunicative. Il vero futuro è spalancato dal contatto avvenuto. Il resto si vedrà. Tutto giusto, naturalmente. Eppure, a me è piaciuto molto il contesto in cui l’evento ha avuto luogo. Sono rimasto commosso dallo stile dolcemente impacciato dei gesti e degli sguardi fra Kyrill e Francesco (e dall’immagine di ospitalità discreta e partecipe del presidente Castro). E ho sinceramente ammirato il tenore e il testo del documento congiunto. Cuba è stata il simbolo dello sbarco nel Nuovo Mondo di una delle religioni secolari più potenti dell’ultima stagione ideologica del Vecchio Mondo. Cuba aveva già raccolto in sé, per altro, il testimone di un più antico passaggio colonizzatore, che aveva esportato religione ma anche soggezione, progresso ma anche sfruttamento. Ora diventa una delle poche terre di mezzo rimaste: luoghi di transito fra il vecchio e il nuovo, neanche fosse l’epicentro di un nuovo tempo assiale in cerca di spazi simbolici (come profetizzava già acutamente Erich Przywara, il gesuita che ha rivoluzionato il pensiero cristiano sull’Europa). L’aeroporto dell’Avana attrezzato come una nunziatura del cristianesimo super partes, in cui si avvia il processo di riconciliazione con la memoria millenaria e benedetta della comunione delle Chiese dell’oriente e dell’occidente cristiano, sembra forse un segno da poco per il mondo che deve venire? Il cristianesimo si fa sulle frontiere nel mondo che c’è, non nelle retrovie di un mondo tramontato. Dove il Signore getta il seme, e lascia il segno, proprio lì la Chiesa 'ritorna in sé'. La libertà cristiana di papa Francesco, che segue il Signore su questa strada, ha indotto fraternamente un identico gesto nel patriarca Kyrill. L’Ortodossia cristiana ha accettato di essere, anch’essa, un cristianesimo 'in uscita'. Dolcemente dirottato su Cuba. «Incontrandoci lontano dalle antiche contese del 'Vecchio Mondo', sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, con dolcezza e rispetto, a rendere conto al mondo della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15)». Così recita un bellissimo passaggio iniziale della Dichiarazione comune (n. 3). In essa, viene anche espressa preoccupazione per le ambiguità antropologiche di una religione del denaro – questa, invece, sopravvissuta alle tragedie dei popoli – che investono i processi della modernità civile. La società della dignità della persona e dei suoi diritti, tuttavia, non è destinataria di alcuna condanna. Dopo tutto, come ricorda appassionatamente il grande metropolita Joannis Zizioulas (che papa Francesco considera il più grande teologo vivente), l’idea di 'persona' è un’invenzione del cristianesimo patristico del primo millennio. Viene anche rimarcata la responsabilità di un fondamentalismo religioso che sembra ripetere, a rovescio, gli errori della colonizzazione occidentale: tragici per la civiltà, tragici per la religione. Nessuna concessione viene fatta, in ogni caso, alla mancanza di rispetto per la dignità delle autentiche tradizioni religiose dei popoli.  È un paradosso che proprio il cristianesimo sia oggi nel fuoco di un’ostilità planetaria – secolare e religiosa – che reagisce aggressivamente alla sua indifesa testimonianza. È un paradosso che la sua ripresa di iniziativa, che conserva in ogni caso toni di dolcezza e rispetto inconsueti ai conflitti religiosi e alle dialettiche politiche, passi attraverso l’ospitalità di antichi avversari. È un paradosso che noi stessi – credenti – siamo ancora così impacciati nel leggere questo spartito di Dio. Quando senti papa Francesco che ripete «Ci sono cose che, chiaramente, possono venire soltanto da Dio», e Kyrill che commenta «Ora è veramente un nuovo inizio, tutto sarà diverso», non pensi che abbiano in mente anche questi paradossi? I direttori hanno dato l’attacco, ma gli orchestrali devono applicarsi di più.
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