Lo «ius culturae», Dario Fo e gli errori che non finiscono mai, ma non sempre
giovedì 3 novembre 2016

Gentile direttore,
in occasione del “rigurgito stampa” sullo ius soli (che lei chiamerebbe ius culturae) durante la sua recente conduzione di “Prima Pagina” su Radio 3 lei ha detto che il disegno di legge relativo è fermo in Parlamento per le centinaia e centinaia di emendamenti «voluti dalle destre». È mai possibile che queste “destre” (e solo le “destre”) debbano sempre fare un negativo ostruzionismo? È mai possibile che le loro idee siano sempre sbagliate? Se cercano di non far passare una legge possono avere, sì o no, le loro buone ragioni? In occasione della morte di Dario Fo lei ne ha ricordato il passato “repubblichino” e ha aggiunto che molti, come Fo, vengono ricordati nei “loro errori”. Se vuole considerare un “errore” la scelta che quel giovanotto fece settanta anni fa faccia pure, ma perché non considera tali (cioè errori) anche molte delle altre scelte dallo stesso fatte successivamente? Nel salutarla, distintamente la ossequio.

Pietro Patriarca

Non ricordo proprio di aver parlato, io, dai microfoni di “Prima Pagina” di «destre», è una locuzione che non mi piace e che perciò non uso. Probabilmente lei, gentile dottor Patriarca, si riferisce alla citazione di un titolo di uno dei giornali che stavo segnalando. Comunque sia, non è questo il punto. Il punto sono le ragioni di chi dice “no” a un determinato provvedimento. Beh, penso che a destra come a sinistra se ne possano avere per opporsi a una data legge. Se il metodo è democratico, posso solo constatare che è pienamente legittimo, anche quando sconfina nell’ostruzionismo. Pratica che, però, non può mai diventare assoluta. Ciò detto, anche a costo di sembrarle un discepolo di monsieur de la Palisse, mi pare evidente che non tutte le ragioni di opposizione siano sempre e inesorabilmente sbagliate così come, al contrario, non credo che siano sempre e necessariamente buone. E nel decidere della bontà o della pericolosità di una possibile normativa, per quanto mi riguarda, non c’è geografia politica che tenga. Il caso della legge sullo ius soli temperato dallo ius culturae è, invece, un caso di geografia umana. E io penso effettivamente – i lettori di questo giornale lo sanno bene – che le ragioni per approvarla siano buone, anzi buonissime. Perché? Perché i ragazzi e le ragazze che sono nati e nate qui e qui vanno a scuola sono italiani e italiane, e riconoscerlo è semplicemente un atto dovuto. Fare una battaglia campale per impedirlo lo ritengo, insomma, due volte sbagliato.
Questo mi porta agli errori che possono segnare la vita delle persone. A tale proposito ho detto alla radio una cosa che scrivo spesso e di cui sono consapevole da molto tempo: nessuno può e deve essere inchiodato ai propri errori, politici o di qualunque altro genere. E questo riguarda tutti, senza distinzioni: intellettuali e carcerati, imprenditori e terroristi, statisti e giornalisti. Ognuno di noi può dimostrarsi migliore e diverso rispetto ai propri sbagli e alle proprie presunzioni. Lei controbatte ricordandomi che gli errori – proprio come gli esami secondo Eduardo De Filippo – possono anche non finire mai. È vero. Ma non è vero sempre. E francamente io credo che Dario Fo di errori ne abbia fatti tanti, ma non tutti. A settembre, poche settimane prima della sua morte ho avuto, come evento collaterale e privatissimo di un’intervista pubblica realizzata dal mio collega Eugenio Fatigante, un’ultima e interessante discussione (al telefono) con il premio Nobel a proposito della sua passione per l’«universo impossibile» di Charles Darwin (che si era fatta mostra) e delle mie severe opinioni sul darwinismo, anche “sociale”. Ci eravamo ripromessi di parlarne di nuovo e più a fondo. Non ce n’è stato il tempo. E me ne dispiace. Mi ha fatto invece piacere che, negli ultimi anni della sua vita, Fo abbia cercato e accettato in diverse occasioni un libero confronto anche con noi, “gente d’Avvenire”. E certo mi ha incuriosito, ma non sorpreso, che abbia dimostrato alla sua maniera di amare molto san Francesco e di stimare altrettanto papa Francesco. Tutto ciò ovviamente ha influito sull’evoluzione del mio parere sull’uomo Fo, anche se posso dirle che non ha cambiato radicalmente quello sull’autore-attore-personaggio pubblico perché stima e perplessità, sintonie e dissonanze si mescolavano già. Ma credo che neanche lei si stupirà molto di questo o lo troverà bizzarro. E capirà perché mi sono tenuto alla larga sia dai beatificatori dell’ultimo minuto sia dal gruppo dei fischiatori mediatici “a prescindere”, eppure ho applaudito con rispetto la conclusione della sua irriverente traiettoria. Ora Dario Fo vede chiaro come mai prima. Ricambio con cordialità il suo saluto.

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