mercoledì 12 dicembre 2012
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Basterebbe il coro di preoccupate lamentazioni levatosi di fronte alla fine anticipata del suo percorso per tracciare un primo bilancio ampiamente positivo dell’azione di politica estera del governo Monti. Difficile, infatti, che l’unanime consenso di cui questo governo è stato fatto segno a livello internazionale possa essere il frutto di un abbaglio collettivo o derivi semplicemente dal giudizio critico riservato all’esecutivo che l’aveva preceduto ovvero, ancora, alle incognite che sembrano addensarsi sul futuro del Paese.Si condividano o meno le decisioni adottate con questo o quel singolo provvedimento, una cosa è certa: l’immagine del’Italia proiettata dal governo tecnico è stata diversa, e migliore, di quella fornita dal governo Berlusconi IV, oltre che da diversi altri esecutivi, anche di marca diversa, che l’avevano preceduto. E se l’immagine non coincide sempre con la sostanza, va anche detto che in politica estera la prima difficilmente può essere disgiunta o addirittura opposta rispetto alla seconda: tanto più se si considera che tra le capacità più notevoli del riservato professor Monti non spiccavano sicuramente la comunicazione e l’empatia. È stata l’Europa, sul terreno economico-finanziario ma non solo, l’arena in cui Mario Monti ha riportato i risultati più ragguardevoli, perché proprio in Europa è riuscito a cogliere il plauso e la fiducia degli interlocutori più diffidenti, anche quando le posizioni tra questi e l’Italia erano tutt’altro che allineate.Al di là dei modi, estremamente sobri talvolta persino un po’ affettati, il professor Monti si è mostrato tutt’altro che il docile curatore fallimentare dell’Italia o un commissario 'ad acta', intento solo a garantire i diritti dei creditori internazionali, che i suoi oppositori hanno voluto dipingere. Ha invece applicato con abilità il metodo della 'triangolazione' con Parigi e Berlino (innanzitutto) per sottrarre il Paese alla posizione di scomodo isolamento in cui si era venuto a collocare negli anni precedenti.Conscio che in una relazione 'faccia a faccia' la debolezza oggettiva dell’Italia nei confronti dei due maggiori partner europei non poteva che risaltare, ha applicato la sola tecnica possibile: cioè quella di determinare la posizione italiana 'traguardandola' rispetto a Francia e Germania. In tal modo, l’Italia non si è mai ritrovata isolata (e quindi più debole di quanto strutturalmente non sia), ma sempre in sintonia con un alleato e in posizione dialogante con l’altro (e quindi più forte di quanto contingentemente non possa essere).La minore 'eccentricità ' rispetto all’Unione e ai partner europei ha conferito al governo e al Paese anche una migliore posizione rispetto agli Stati Uniti: che hanno continuato a vedere nell’Italia un alleato strategicamente affidabile (soprattutto a fronte della continuità nel gravoso impegno afghano), ma dal valore politico più elevato per la riacquisita capacità di interlocuzione dentro l’Unione. In tal senso, anche la presenza di due ministri molto rispettati per il loro precedente 'curriculum professionale' agli Esteri e alla Difesa - l’ambasciatore Giulio Terzi e l’ammiraglio Giampaolo Di Paola - hanno fornito ulteriori rassicurazioni sul fatto che l’implementazione della politica italiana relativamente al suo posizionamento internazionale non avrebbe riservato sorprese.In Medio Oriente il governo ha adottato una posizione degna di nota, coraggiosa e non affatto scontata, nei confronti della votazione – nell’ultima Assemblea Generale dell’Onu – della mozione che riconosceva alla Palestina lo status di «Stato osservatore non-membro». È stata una decisione dalla caratura fortemente politica che il governo tecnico è riuscito ad assumere proprio perché svincolato da quel dibattito partitico italiano che, sulla questione israelo-palestinese, è sembrato troppe volte ostaggio di visioni inutilmente ideologiche e, più in generale, è caratterizzato da toni degni del più becero tifo da derby.Un giudizio complessivamente molto positivo, quindi, quello sulla politica estera del governo Monti. Con una sola nota negativa: il non essere stati capaci di risolvere, in oltre 7 mesi, la vicenda umiliante e violenta del sequestro illegale da parte delle autorità indiane dei due sottufficiali della nostra Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Di fronte a chi ha deciso di violare le leggi internazionali, la strategia dell’understatement si è rivelata a dir poco inefficace: ma forse, nella compagine governativa, qualcuno è rimasto vittima di quella retorica che dipinge l’India come «la più popolosa democrazia del mondo», illudendosi che, oltre che a Berlino, anche a Delhi ci sarebbe stato un tribunale e dei giudici indipendenti dal potere politico…
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