Usa, Santa Sede, Cina e libertà religiosa
venerdì 2 ottobre 2020

Alla fine la questione della libertà religiosa in Cina è finita in secondo piano. Avrebbe dovuto essere al centro della visita di Mike Pompeo ed effettivamente se n’è parlato tanto nei suoi giorni romani. Ma l’inusuale aggressività mostrata da parte americana verso la Santa Sede ha finito con lo spostare l’attenzione su tutt’altra questione. Quella di un’alternativa inedita per i cattolici (americani e no) tra il Papa e Trump sulla libertà religiosa in Cina e su altre questioni. Vista da Roma è un’alternativa semplicemente inconcepibile, ma in un’ipersemplificazione mediatica, negli Stati Uniti e altrove trova una confusa plausibilità.

Riepiloghiamo. Qualche giorno fa, il segretario di Stato Usa ha scritto un articolo pesantemente critico sull’Accordo provvisorio tra Cina e Santa Sede del 2018 per la nomina dei vescovi, pretendendo perentoriamente che quest’ultima non lo rinnovasse. Il Vaticano ha taciuto, per non alimentare le polemiche. Venendo a Roma, però, Pompeo ha rincarato la dose, con un intervento durissimo, alla presenza del cardinale Parolin e di monsignor Gallagher. Il Vaticano ha dovuto sciogliere il silenzio. Un articolo dell’'Osservatore Romano' ha confermato l’intenzione di rinnovare l’Accordo con la Cina, ribadendone le finalità anzitutto ecclesiali; il segretario di Stato vaticano Parolin ha parlato di «sorpresa» per il comportamento americano e il 'ministro degli esteri' della Santa Sede, Gallagher, ha spiegato che il Papa non avrebbe ricevuto Pompeo per non essere «strumentalizzato».

Insomma, sobrietà e chiarezza davanti a un evento senza precedenti recenti nel mondo cristiano: quello di un’autorità politica che pretende obbedienza anche come leader religioso. Bisogna infatti risalire agli imperatori che convocano i vescovi a concilio contro il Papa, ai sovrani protestanti che decidevano sulle loro Chiese nazionali, al Re di Francia che dirigeva la Chiesa gallicana per trovare qualcosa di simile. Tutte cose che ci riportano molto indietro nel tempo e che pensavamo di non vedere più.

La reazione della Santa Sede è stata tuttavia misurata. Misurata e ferma. E questo non solo perché tutto cambia rapidamente e già domani molte cose potrebbero essere diverse, ma soprattutto perché c’è da difendere il bene prezioso della libertà religiosa. Pompeo, presentandosi a Roma e accusando addirittura il Vaticano, se ne è fatto a parole paladino, ma proprio lo scontro da lui provocato non ha permesso nessun confronto costruttivo su tale problema. E alla fine è stata la Santa

Sede, come sempre, a porre la questione nel modo più incisivo. Lo ha fatto il cardinal Parolin spiegando che, sebbene l’Accordo tra Chiesa cattolica e Cina del 2018 sulla nomina dei vescovi può apparire un piccolo passo, è stato comunque «un passo avanti verso l’affermazione anche di una maggiore libertà religiosa». Nessuna difesa ideologica delle scelte compiute, tant’è che Parolin si è mostrato aperto alla ricerca di altre strade. Ma resta il fatto che nessuno, oggi, è in grado di fare di più o meglio.

Lo ha confermato, involontariamente, lo stesso Pompeo ricordando nel suo discorso la canonizzazione di 120 martiri cinesi il 1 ottobre 2000 da parte di san Giovanni Paolo II, quale esempio di un 'coraggio' che la Sante Sede oggi non avrebbe più. Quell’episodio infatti ha avuto conseguenze che dispiacquero moltissimo a papa Wojtyla. Da parte cinese ci si risentì profondamente perché la celebrazione ricordava (indirettamente) l’umiliazione della Cina da parte occidentale e perché era stata scelta (involontariamente) proprio la data del 1 ottobre, giorno della Festa nazionale cinese.

Saltò per questo un’intesa tra Santa Sede e Cina che era praticamente già pronta. Giovanni Paolo II se ne addolorò e negli ultimi anni della sua vita fece poi diversi tentativi per riprendere il dialogo con la Repubblica popolare cinese. Proprio da questo incidente è partita la forte spinta che ha portato Benedetto XVI a negoziare l’Accordo che solo nel 2018 è stato possibile firmare. Insomma, contrapporre Giovanni Paolo II o Benedetto XVI a papa Francesco conduce a sorprese inaspettate. E mischiare valori religiosi con finalità politiche non porta lontano, come pure confondere i cattolici per cercare di dividerli. Ma, soprattutto, la libertà religiosa è una questione troppo importante per essere sacrificata ad altri obiettivi.

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