sabato 3 luglio 2010
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Caro direttore,le scrivo perché vorrei chiederle alcuni chiarimenti circa la posizione della Chiesa sull’autorità che ha lo Stato di decidere sul fare o meno l’autopsia a una persona deceduta. Ho conosciuto dei genitori di Avellino che qualche anno fa hanno perso un figlio a causa di un incidente sulla moto. Nell’incidente perse la vita anche un altro giovane che era seduto dietro. L’incidente fu causato, a detta del padre, da un’auto guidata da un ragazzo, che aveva commesso delle gravi scorrettezze alla guida. Il padre del giovane morto mi ha detto che avrebbe voluto donare gli organi ma il giudice (o comunque l’autorità) ha disposto l’autopsia sul corpo del figlio perché poteva chiarire cose utili per il processo. Vorrei chiederle se secondo lei è giusto che lo Stato decida se fare l’autopsia a una persona deceduta senza far decidere i familiari. Per me nel caso specifico dovrebbe essere la mamma a decidere o meno se fare l’autopsia. In questo caso, a detta del papà, i genitori avrebbero deciso per la donazione degli organi. Chi più della mamma ha amato il figlio, ha amato quel corpo? Secondo me la mamma o tutti e due i genitori devono decidere se far eseguire l’autopsia e nessuna autorità può avocare a sé questo diritto. Vorrei chiederle qual è la posizione della Chiesa e come noi cristiani dovremmo, alla luce della nostra concezione del corpo, agire quando si presentano queste tristi situazioni. Vorrei anche un suo parere in merito. Secondo me lo Stato non dovrebbe prendersi questo diritto, ma ogni persona dovrebbe manifestare la propria volontà con un testamento e poi dovrebbero decidere i familiari, prima fra tutti la mamma. Ci tengo a precisare che non conosco bene la legislazione e le leggi in merito, Se potesse anche spiegare come attualmente sono le leggi le sarei grato.Massimo Varriale, NapoliLa donazione degli organi dopo la morte, caro signor Varriale, è definita dalla Chiesa un «atto nobile e meritorio» ed è giudicata una «manifestazione di generosa solidarietà» certamente «da incoraggiare». Credo che il triste caso sul quale chiede anche la mia opinione sia il risultato dello scontro di due grandi valori: l’amore e la giustizia. Ritengo, infatti, logica ed esemplare la decisione dei genitori del ragazzo tragicamente deceduto in un incidente stradale. Ma so anche che la legge, «se per la morte di una persona sorge il sospetto di reato», dà al magistrato inquirente la ovvia possibilità di condurre tutti gli accertamenti necessari, autopsia inclusa. Lo prevede l’articolo 116 delle norme di attuazione del Codice di procedura penale. Non conoscendo i dettagli della vicenda da lei citata, gentile lettore, posso basarmi solo su quello che lei riassume. E, su questa base, mi pare di poter dire che sia stata questa norma di legge a far sì che il gesto generoso di una madre e di un padre non si realizzasse. Non ne darei la colpa al magistrato, che credo abbia deciso di procedere a un’inevitabile verifica, ma a colui che guidando scorrettamente ha provocato la morte di due persone e reso impossibile un gesto che avrebbe salvato (o reso migliore) la vita di varie altre grazie al trapianto degli organi donati. La storia che ci ha raccontato non solleva solo gli interrogativi che lei ha comprensibilmente proposto, ci ricorda anche una lezione di vita che troppe volte tendiamo a dimenticare: le nostre azioni, tutte, anche quelle che magari consideriamo banali o sulle quali non riflettiamo affatto (come spingere sull’acceleratore), hanno conseguenze concrete e a volte davvero pesanti sulla vita degli altri. Questo non può e non deve paralizzarci, ma renderci serenamente responsabili (nell’«uso» delle cose, delle risorse e di noi stessi così come nei rapporti con le persone) e orientati ad agire bene e cercando il bene.
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