Non rinunciamo a vicinanza e sorriso, soprattutto (ma non soltanto) oggi
sabato 22 dicembre 2018

Caro direttore,
non occorreva lo ricordasse un recente fascicolo di "The Lancet Psychiatry" che il periodo natalizio è particolarmente doloroso per alcuni: «La stagione delle feste può essere il periodo più solitario dell’anno, invece che il più festoso, con la crisi amplificata dall’aspettativa diffusa di felicità e di compagnia». Però forse un richiamo così prestigioso, in particolare rivolto a chi è impegnato in ambito sanitario, ha stimolato l’attenzione di alcuni verso le persone sole, per le quali il Natale fa sentire più forte la mancanza di una rete affettiva e amicale alla quale attaccarsi. Queste considerazioni mi hanno fatto ricordare un famoso studio dedicato agli ultranovantenni, nel quale si dimostra, confermando molte altre osservazioni epidemiologiche, che l’amore è un fattore protettivo rispetto alla comparsa di malattie, in particolare in età avanzata. Lo studio fa anche un’osservazione particolarmente adatta al tempo che stiamo vivendo: lo stare assieme a tavola serenamente e con parenti o amici conta di più, rispetto al mantenimento della salute nel tempo, che il seguire una particolare dieta. Ma quante sono le persone sole che, almeno a Natale, possono godere di una tavola imbandita insieme a persone care? Mi rendo conto che il richiamo al legame tra solitudine, dolore e malattia non cambia la vita delle migliaia di nostri concittadini che saranno soli nei prossimi giorni; però è importante guardare la realtà, senza chiusure, perché nessuno possa dire che non sapeva. Anche noi, dentro e fuori il sistema sanitario, dovremmo avere più fantasia e coraggio nell’esprimere concretamente la vicinanza con chi è solo, evitando così, almeno in parte, la catena di eventi negativi, anche sul piano della salute somatica, che si accompagnano alla solitudine.
Il mio augurio agli affezionati lettori di "Avvenire" è fondato sulla speranza che possano capire la sofferenza di chi è solo; non tutti possono porvi rimedio concretamente, ma tutti noi, nei giorni intorno a Natale, possiamo usare la nostra capacità di vedere e di capire chi soffre per la solitudine. Talvolta è sufficiente un sorriso, uno sguardo che si sofferma. Nei giorni più difficili per chi è senza una rete alla quale appoggiarsi possiamo provare a essere più aperti, anche solo con l’atteggiamento del viso. Qualcuno si meraviglierà del nostro sorriso, tanto siamo disabituati a ricevere un gesto di attenzione. Però anche se uno su dieci dei nostri tentativi di vicinanza andassero a buon fine, avremmo fatto qualche cosa che lascia una traccia. Avremo posto un piccolo mattone...
Vi sono enormi problemi attorno alla solitudine delle persone anziane, e dovremo occuparcene con determinazione soprattutto come organizzazione delle nostre collettività: intanto, però, possiamo incominciare con piccoli gesti.
Marco Trabucchi, Associazione Italiana di Psicogeriatria


La scienza può aprire nuovi orizzonti o anche solo confermare ciò che l’esperienza insegna e che la saggezza popolare consegna alla nostra consapevolezza comune: nessuno può essere davvero felice da solo, e tanto più nel tempo che ancora e sempre consacriamo alla festa. Grazie, caro professor Trabucchi, per avercelo ricordato con una citazione da una prestigiosa rivista medica, con una bella sottolineatura della forza buona e necessaria delle «reti di relazione e amicali», con il richiamo ai doveri alti e seri della buona politica («organizzare le comunità») e con un sereno pro-memoria sul compito che è alla portata di ognuno di noi: i «piccoli gesti» di prossimità. È vero: può bastare anche solo un sorriso.
Qualcuno, magari, dirà che questa è poesia che illude e che non cambia la vita. Io invece, certo aiutato dal fatto di essere cresciuto in una piccola (seppur straordinaria) realtà di provincia come la mia Assisi, la penso proprio come lei. Penso, cioè, che condividere un sorriso o una gentilezza coi vicini, coi compagni di scuola e di lavoro, con chi incontriamo semplicemente per strada, ma un sorriso vero, che – insomma – non sia solo un mostrare i denti all’altro (tentazione crescente e quasi automatica in questo nostro tempo di tracotante "cattivismo"), sia parte essenziale di una forma di poesia che cambia per davvero i giorni. E aiuta a lenire almeno un po’ la sofferenza e l’insofferenza che piagano la vita nelle nostre società, incoraggiando a vivere la serenità e la felicità che qui possiamo e che ci dobbiamo. Provare per credere. Ricordare per credere: ognuno di noi l’ha sperimentato o anche solo desiderato, e di questo ha nostalgia e umanissima fame... Nel tempo in cui riviviamo il Natale di Gesù può essere un po’ più facile e un po’ più bello. Una lunga tradizione, una vasta letteratura e prove di concreta umanità e di fede lo testimoniano... Ma non è, e non sarà mai, scontato. Ci vuole una nostra libera decisione. Ci vuole una decisa libertà di testa e di cuore. Ci vuole una resistenza attiva alle scintillanti lusinghe della corazza, e della sfiducia dura e amara nell’altro. Aggiungo così il mio augurio al suo, caro amico, e spero di farlo arrivare a tutti. Nessun gesto buono ci sembri mai troppo piccolo o troppo difficile, nessuna speranza ingenua o vana, nessun sorriso inutile. Oggi, e in ogni giorno.


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