Quelle parole per Alfie anche al Csm: i valori e le scelte che ci accomunano
lunedì 30 aprile 2018

Gentile direttore,
ogni tanto viene qualcosa di buono anche dal Csm. Un consigliere, Claudio Galoppi appartenente a Magistratura Indipendente, con un intervento un po’ fuori dall’ordinario nell’aula del Plenum, ha criticato, accogliendo i sentimenti di molti colleghi della “base”, la scelta dei giudici inglesi di interrompere le cure ad Alfie Evans. Il consigliere ha ricordato il diritto alla scelta delle cure e il diritto primario alla vita che vigono in Europa. Ha ricordato addirittura che chi accelera la morte, come i giudici inglesi, di un cittadino italiano all’estero potrebbe essere perseguito in Italia. Alfie era infatti diventato da qualche giorno un cittadino italiano, l’aereo che doveva portarlo in Italia era già pronto a partire, eppure i magistrati inglesi hanno “staccato” la spina.
Non sono favorevole all’accanimento terapeutico, ma nemmeno all’abbandono terapeutico. Soprattutto quando qualcuno, sollecitato dai genitori che lo chiedono, si offre di prestare cure a un bambino che non può parlare. C’è spesso chi, in questi casi, obietta che ci sono tanti bambini che soffrono e muoiono in tante parti del mondo, che non hanno cure e impegnarsi per uno solo non ha significato. È un pensiero gretto. In questi giorni Alfie e i suoi genitori erano diventati un simbolo, lo dico da laico, che ha valore per tutti e illumina il dolore di tutti.
Quando Claudio Galoppi è intervenuto il bambino era ancora vivo. Oggi non più. Buon viaggio Alfie.
Guido Salvini, magistrato


Siamo in piena sintonia, gentile dottor Salvini. E la ringrazio di cuore per questa lucida e calda testimonianza dei caposaldi di una cultura anche giuridica che ha generato la nostra (pur imperfetta) civiltà solidale. La lotta disarmata di Kate e Tom Evans per poter accudire sino all’ultimo il piccolo Alfie, malato incomprensibile per la stessa medicina e vita «futile» per giudici infelici sia nella scelta delle parole sia nelle decisioni assunte, è diventata motivo di riflessione per tanti e ci ha riconsegnato il senso di valori fondamentali – lo ius vitae e la “cura dell’altro”, soprattutto quando fragile, debole, assolutamente impotente – che davvero, come lei scrive, hanno «illuminato il dolore» di uomini e donne credenti, non credenti e liberi pensatori. In Gran Bretagna, medici e giudici (e, a lungo, anche mass media) hanno ignorato e lasciato soli due genitori troppo giovani e semplici per essere considerati meritevoli di ascolto e di una risposta degna dell’amore e della civiltà di cui si stavano dimostrando capaci. Molti altri e molte altre, invece, incoraggiati o scossi anche dalla paterna vicinanza di papa Francesco ai protagonisti di questa storia tristissima eppure luminosa, non hanno lasciato soli quel papà e quella mamma. Tra costoro, gentile e caro giudice, lei e il consigliere Galoppi e altri ancora che sono intervenuti nel Plenum del Consiglio superiore della magistratura e quanti, come noi di “Avvenire”, hanno cercato di tenere accese sguardi e coscienze su ciò che stava avvenendo a Liverpool, nel Paese dell’habeas corpus, con il corpicino di Alfie preso in ostaggio dai custodi di una medicina rassegnata e dagli interpreti algidi di una legge senza umanità. Tutti noi, purtroppo, abbiamo avuto solo il “potere” della solidarietà e non quello della decisione. Ma credo che non sia stato invano.

Io non so se ci potranno essere conseguenze sul piano giudiziario nei confronti di quanti, come lei ricorda, hanno «accelerato la morte» di Alfie Evans, che era diventato per decisione del nostro Governo anche cittadino italiano. E non so nemmeno se augurarmelo. Spero invece che abbia conseguenze, e molto forti e durature, la consapevolezza riaccesa in larghi settori dell’opinione pubblica (non solo) del nostro Paese dalla straziante fine del piccolo “paziente inglese”. Spero che tanti si rendano conto di quanto sia importante che l’Italia a lungo raccontata come un Paese dal quale si deve andar via per “morire con dignità” sia finalmente apparsa per ciò che essa, nonostante le imperfezioni del nostro sistema, effettivamente è: un Paese dove si può desiderare di venire per veder rispettata e accudita la vita e avere una morte degna perché circondata dall’amore e da giuste cure. Senza accanimento e senza abbandono terapeutico. È un bene comune di cui dobbiamo avere grande cura, per non disperderlo e non farcelo portar via.

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