La «profezia politica» di papa Francesco e l'alternativa al mortale (dis)ordine
sabato 28 ottobre 2017

Caro direttore,
mi ha colpito il discorso di papa Francesco ai membri dell’Accademia delle scienze sociali. Intendiamoci: vi si rinvengono tesi già contenute e sviluppate in forma organica nella Laudato si’. Ma qui la concisione, anziché limitarne la portata, conferisce loro una particolare efficacia. Si fa riferimento alla dilatazione delle disuguaglianze, alla disoccupazione, allo sfruttamento del pianeta, alle distorsioni nel rapporto tra Stato, mercato (“da civilizzare”), società. Ma forse la frase chiave di un testo breve eppure densissimo è la seguente: «La sfida da raccogliere è quella di adoperarsi con coraggio per andare oltre il modello di ordine sociale prevalente». Merita sostare sul peso di queste parole. Ai cristiani e agli uomini di buona volontà si chiede un impegno ideale e pratico di prima grandezza. Esemplifico: non la sollecitudine settoriale su questa o quella questione (magari meritoriamente mirata lenire le sofferenze dei soggetti più vulnerabili, con una politica “compassionevole”), ma più ambiziosamente tesa a disegnare un diverso “ordine sociale”; non una correzione ai margini (“riformista”?) di tale ordine, ma un “ordine altro” che porti il segno dell’alternativìtà al vigente assetto dei rapporti sociali. Che è il compito precipuo della politica. Attività architettonica per eccellenza. Di ideazione e realizzazione delle strutture portanti della città dell’uomo (espressione cara a Giuseppe Lazzati) a tutti i livelli: locale, nazionale, europea, della intera famiglia umana. Cominciando con il rimuovere le cause strutturali (le “strutture di peccato”) delle ingiustizie interne, internazionali, intergenerazionali.
Ne ricavo due osservazioni. La prima: riesce più chiaro il senso di una apparente (sottolineo: solo apparente) contraddizione. Quella di un magistero pontificio tanto accorto nel marcare la universalità del suo messaggio e dunque al riparo da ogni sua riduzione o appropriazione da parte della politica, ma per converso così incalzante e sfidante tutti gli attori politici affinché il loro pensiero (?) e la loro azione assurga alla misura più alta. Quella appunto di un ordine sociale alternativo. Si spiega così la provocazione di Francesco: la Chiesa, osservò tempo fa, non fa politica (di parte), ma si occupa eccome della Politica con la maiuscola. Egli, potremmo riassumere così, dispone inequivocabilmente la Chiesa sul versante della profezia (non dell’ingerenza nella sfera d’azione degli attori politici), ma di una profezia che interroga come non mai la politica, la mette in discussione con la radicalità che si conviene al Vangelo.
Seconda osservazione critica e autocritica: Francesco si mostra rispettosissimo dell’autonomia responsabile dei laici politicamente impegnati. Ma quanto noi tutti siamo lontani da quella tensione e da quell’orizzonte... Spesso ci contentiamo di correzioni e aggiustamenti dell’ordine sociale, a destra e a sinistra ci contendiamo la qualifica (abusata e ambigua) di “riformisti”, da intendersi come moderati. Gli stessi eredi (veri o presunti) del cattolicesimo sociale scontano una certa sterilità. È ingeneroso notare che da quelle parti (le nostre parti!) non si scorge traccia adeguata di un protagonismo ispirato alla ben intesa “alternatività” dell’ordine sociale cui il Papa ci richiama? Meriterebbe discuterne.
Franco Monaco, deputato del Pd

Sono così convinto e felice dell’importanza del magistero del Papa e sono così d’accordo con l’invito «a discuterne», caro Monaco, che su queste pagine stiamo ragionando da anni dell’«alternatività» all’attuale, ingiusto e in diversi modi mortale (dis)ordine sociale ed economico. E non ci stanchiamo di indicare non solo e non tanto fantomatiche “terze vie”, ma seri e progressivi cambiamenti negli stili di vita, di relazione, di intrapresa, di valorizzazione del lavoro, di governo politico dei processi in corso… Prima la Caritas in veritate e, ora, la Laudato si’ ci hanno rincuorato, spronato e ancor più motivato. E ci conferma nell’impegno l’esito della quarantottesima Settimana Sociale dei cattolici dedicata al gran tema del lavoro umano, non un rituale appuntamento, ma un cammino comune (la parola per noi cristiani è “sinodo” e papa Francesco continua a dimostrarci che non è un modo di dire, è il modo di vivere – da cristiani – la Chiesa e nella società umana) che ha fatto tappa cruciale a Cagliari per la tradizionale grande assemblea che si conclude proprio oggi, e però e soprattutto ha avuto un prima (di ascolto e lettura della realtà) e avrà un dopo (per incidere ancor di più in quella stessa raltà). Perché non siamo sterili, caro Monaco, ma rischiamo di diventarlo se ci arrendiamo alle logiche totalizzanti e all’impero su cui non tramonta né sorge più il sole del “mercato incivile”, nel quale l’uomo e la donna sono sempre meno creativi produttori e sempre più consumatori e, ormai, vengono persino ridotti a meri prodotti. Non possiamo accettarlo, dobbiamo batterci con lucidità ed energia perché non accada. E l’alternativa (che non è pura e semplice re–azione, perché è tale solo se è invece azione originale e radicalmente altra) comincia, a mio parere, dalla consapevolezza che nell’ultimo tumultuoso quarto di secolo nei fatti noi cattolici siamo stati troppo nell’angolo, civilmente e politicamente intendo. Alcuni in trincea, altri a casa (non sempre la propria). E troppi di noi sono stati afoni e remissivi rispetto alle parole d’ordine del pensiero dominante, si sono rivelati ammaliati e persino complici di liberismi e libertarismi senz’anima e senza autentica umanità e di socialismi definitivamente deragliati verso un materialismo oppressivo e manipolatorio. Scarto dei figli “imperfetti” e “scomodi” prima di metterli al mondo, scarto dei lavoratori maturi e “costosi” e dei giovani irrequieti e “ingombranti”, scarto della famiglia “generativa”, scarto dei poveri e dei migranti sono le diverse facce di una stessa ideologia–idolatria che prende pieghe opposte, ma ha radici nell’individualismo esasperato e rivela una sostanza profondamente antisolidarista.
Ciò che ho appena richiamato, e che provo ad argomentare da anni, sottolinea come, sempre a mio parere, il problema non sia il riformismo, che è pensare e attuare una “svolta” in modo nonviolento, ovvero senza strappi né rivoluzioni, cioè con tenace determinazione e tutta la gradualità utile e necessaria (il gradualismo riformista è una risorsa da usare bene, così come il cambio secco quando s’impone in rispetto pratiche sbagliate e disumane). Il problema, invece, ha due teste: quella di un conservatorismo che si preoccupa della salute delle economie e dei mercati e non di conservare il giusto posto dell’umano e quella di un riformismo servile e monco. Una tenaglia infausta che congiura alla «sottomissione» della politica – ah, anche di questo, quanto ha saputo dire bene il Papa – agli orgogliosi padroni di una economia finanziarizzata e alleata a una tecnoscienza che ha drammaticamente abiurato al “principio di responsabilità.
Per questo oggi più mai la “P” maiuscola di una Politica davvero buona è sorella gemella della “P” maiuscola della vera Profezia. La sfida è stare al passo di Francesco, che cammina accanto a tutti coloro che hanno occhi liberi e vedono la direzione, e li sa anche «primerear» (anticipare, prendendo l’iniziativa) se il passo si fa incerto e lento, quasi fermo. Credo anch’io che questo sia il nostro caso, qui in Italia. E penso anche che esitazioni e fatiche così emergono perché la sfida è enorme e gli spazi della politica appaiono stretti. Un errore: gli spazi della politica sono grandi esattamente come la sfida. Bisogna crederci. Bisogna rendersi conto che siamo ancora e sempre bravi a sostenere i caduti, noi cattolici, ad affrontare le paure, ad accogliere i soli, a stare accanto ai poveri. Ma bisogna anche capire che contemporaneamente c’è da smontare la fabbrica delle cadute, delle solitudini, delle paure, delle miserie. Ed è un lavoro che va fatto, va cominciato a fare, insieme e proprio adesso. La politica, spiegava don Lorenzo Milani, è il contrario dell’egoismo perché appunto è «sortirne insieme». Possono intenderlo tutti, ma i cattolici hanno i migliori motivi per non tirarsi indietro.

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