domenica 22 dicembre 2013
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Caro direttore,
le scrivo a proposito dell’articolo di Fraschini Koffi «Massacri in Centrafrica. I cristiani nel mirino», segnalatomi oggi stesso (sabato 21 dicembre, ndr) da un confratello in Italia. Ma devo presentarmi. Mi chiamo padre Matteo Pesce, carmelitano scalzo di orgine ligure, e le scrivo da Bangui, la città oggetto dell’articolo. Il nostro convento, per essere più precisi, si trova appena fuori del territorio del Comune di Bangui, nel Comune di Bimbo, a sud-ovest della Capitale, ma di fatto siamo parte della periferia di Bangui. Gli scontri scoppiati venerdì mattina nei quartieri vicini a noi hanno più che quadruplicato gli sfollati, già presenti qui dal 5 dicembre, cioè dall’inizio di questa crisi, portandoli da 2.500 a quasi 10.000. Le scrivo in merito all’accento posto sull’identità religiosa delle vittime, i cristiani.
Ora, non c’è dubbio che se i musulmani, e, più precisamente, i cosiddetti seleka (dal nome della coalizione cui appartengono) che hanno preso il potere in marzo, attaccano qualcuno, non attaccano i propri fratelli nella fede (sebbene questa non sia neppure stata una regola assoluta). Ma il problema non è che attacchino i cristiani in quanto cristiani. Ormai si è scatenata una vendetta a catena, per cui si va ad attaccare alla cieca chiunque abbia un qualche 'odore' del nemico. Diciamo che il fatto che per mesi i seleka abbiano risparmiato furti e omicidi alla gente musulmana ha creato il sospetto di connivenza di tutti i musulmani con i nuovi dominatori. Così i gruppi spontanei di autodifesa, chiamati anti-balaka, hanno preso ad attaccare i seleka e i musulmani in generale, macchiandosi anch’essi di tanti crimini. Il fatto che questi gruppi di 'anti-balaka' siano composti da cristiani ci fa vergognare. Ma vorrei arrivare a dire che le vendette si sono consumate, qui a Bangui, soprattutto nei quartieri considerati sostenitori dell’ex-presidente, Bozizé.
Quindi non c’è una motivazione religiosa in sé in questo conflitto, anche se di fatto c’è la comunità musulmana contro tutti gli altri. Ci sono, dunque, piuttosto vendette politiche, che qui si intrecciano ancora fortemente all’appartenenza etnica.
Resta vero che la rabbia fa di ogni erba un fascio e, siccome i seleka sono musulmani, allora tutti i musulmani sono ritenuti colpevoli.
Tutto questo per cercare di dire che non è il caso di calcare la mano sulla questione religiosa, né di vedere ad ogni costo dei màrtiri. Testimonio questo perché anche altrove in internet, anche su siti cattolici, ho letto commenti che ritengo un po’ affrettati circa la natura di questo conflitto. Resta la gravità dei fatti. Un responsabile della Croce Rossa Internazionale, un italiano, ci ha detto che solo questa mattina (sabato 21 dicembre, ndr) hanno recuperato in città quaranta e più cadaveri. Non so dire se fossero tutti cristiani o tutti musulmani o di entrambi le fedi, ma posso immaginare che fossero di ogni parte, perché gli anti-balaka sono un po’ ovunque e anche loro avranno fatto le loro vittime. Concludo ringraziando lei, Fraschini Koffi e tutti i suoi colleghi di Avvenire per l’attenzione riservata a questo povero paese, la Repubblica Centrafricana, che solo per il suo nome lascia immaginare dove sia, altrimenti nessuno ne saprebbe niente. Colgo l’occasione per augurare un Santo Natale e un felice 2014.
Padre Matteo Pesce, carmelitano scalzo
Couvent Notre-Dame du Mont Carmel, Bangui-Bimbo
 
Grazie, caro padre Matteo, per questa sua lucida e vibrante testimonianza e per l’ulteriore luce che, direttamente “dal campo”, proietta sul terribile conflitto civile in corso nella Repubblica Centrafricana e che anche il bravo Fraschini Koffi ci sta aiutando a raccontare ai nostri lettori. I dati che lei registra e ci offre, l’analisi che svolge e le conclusioni che trae ci confermano nella lettura di una vicenda nella quale l’elemento di contrapposizione religiosa è purtroppo ben presente, ma – come in diverse altre storie africane – risulta meno determinante dell’elemento etnico e di quello politico. Non scopriamo certo adesso, del resto, la strumentalizzazione che si può fare della fede, anche se questo tipo di pesantissima “ingerenza” della politica nella religione fa stranamente pochissimo scandalo… Detto questo, caro padre, siamo d’accordo pure su un altro punto cruciale: che i cristiani centrafricani abbiano subito gravissime violenze, è fuor di dubbio; che su questa base qualcuno organizzi e voglia giustificare feroci rappresaglie, è fuori del vangelo (e della civiltà). La degenerazione settaria dello scontro a Bangui e in tutta la realtà centrafricana – ne ha scritto, qui, due giorni fa Fabio Carminati, evocando l’incubo di un «nuovo Ruanda» – ci preoccupa enormemente e la comunità internazionale deve adoperarsi per fermarla prima che sia troppo tardi. Grazie ancora, padre Matteo, anche e soprattutto per i semi di pace che continua a spargere nella terra dove il Signore l’ha guidata.
Ricambio di cuore gli auguri più sentiti, a lei e a tutta la comunità carmelitana e alle persone alle quali siete accanto.
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