sabato 4 ottobre 2014
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Caro direttore,da anni “Avvenire” affronta il tema della denatalità. Sulle cause molto si è detto, ma solo recentemente i politici si stanno rendendo conto degli effetti negativi sull’economia di questa situazione. Ho molto apprezzato gli articoli del nostro giornale, in particolare quelli di Massimo Calvi (e l’analisi che ha firmato con Pietro Saccò) su questo tema. Evidenziano bene come il calo delle nascite porti a una riduzione dei consumi e freni la crescita del Pil. In pratica si è creato un circolo vizioso in cui non si mettono al mondo figli per motivi economici, ma così il calo della popolazione giovane peggiora l’andamento dell’economia. Sulle pagine di “Avvenire” sono via via emerse anche indicazioni utili su come incentivare economicamente la natalità, io vorrei suggerire anche un’altra strada. Si è concluso, sulla base di calcoli e stime attendibili, che crescere un figlio costa alla famiglia circa 170mila euro, questo è un investimento che porta giovamento non solo alla famiglia ma a tutta la società. Sappiamo che i contributi che versiamo all’Inps non vengono accantonati o investiti e invece servono a pagare le pensioni di altri, quindi quando i bambini che mettiamo al mondo cresceranno, lavoreranno e pagheranno contributi previdenziali che serviranno a pagare le pensioni non solo dei loro genitori, ma anche di chi non ha speso i famosi 170mila euro per crescere un figlio. Credo sarebbe giusto rimodulare il sistema previdenziale aumentando le pensioni a chi ha messo al mondo tre o più figli riducendole, in proporzione, a chi non ne ha fatti. Credo che questo potrebbe contribuire a cambiare la nostra mentalità facendoci considerare i figli, capitale umano messo a disposizione di tutta la società, come ha detto il cardinale Bagnasco, anche come un investimento, una sorta di previdenza complementare. Cordiali saluti.Gustavo Mion, CentolaPiù pensione a chi fa più figli, una sorta di premio a fine carriera per fecondità personale e sociale. Idea suggestiva, caro signor Mion, e tutto sommato in linea con quella preferenza (cara anche a noi di “Avvenire”) per uno Stato che si dimostri capace di “premiare” chi fa la cosa giusta per sé e per gli altri piuttosto che preoccupato di “sanzionare” o comunque “penalizzare” chi fa la cosa sbagliata o più egoista. Eppure devo dire che il “premio” che lei propone non riesce a convincermi del tutto, soprattutto per un fatto: alle famiglie con figli l’incentivo – cioè il giusto riconoscimento del loro prezioso ruolo sociale – non va a mio parere assegnato per così dire a fine corsa, ma va dato all’inizio e durante il percorso di vita e di lavoro. Voglio dire che è prioritario sostenere e agevolare nella fatica questi nuclei. E il segnale va dato adesso, meglio sarebbe con una opzione forte e, dunque, con un cambiamento netto (le vie più percorribili le abbiamo illustrate diverse volte sulle nostre pagine), ma anche con gradualità. Purché non difetti la determinazione che per troppo tempo è mancata. Non ci stanchiamo di ricordarlo al Governo della «svoltabuona», perché continuiamo a credere che stavolta sia possibile e che questo sia il momento. Un’urgenza vera in una società che non solo perde spinta, ma declina. Noi continuiamo a constatarlo e a denunciarlo e, da qualche tempo, per fortuna – lei fa bene a rimarcarlo – sempre meno in solitudine. Ma “vederlo” non basta, occorre cambiare passo. Il declino demografico ha innescato quello economico e contribuisce potentemente a impoverirci sul piano sociale e culturale. Grazie dunque per la sua idea, che apprezzo anche se non mi convince del tutto. Che ne fioriscano molte e che sbocci una politica nuova per la famiglia.
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