Basta con le parole che incitano all'odio
martedì 20 giugno 2017

La notizia questa volta è che un uomo bianco, un britannico di cittadinanza e di sangue (precisazioni infelici, lo ammettiamo, ma necessarie), ha diretto il furgone che guidava contro un gruppo di fedeli musulmani fuori da una moschea a Londra. Una persona è morta, altre sono ferite anche gravemente. Si sa poco delle ragioni che hanno mosso l’attentatore, ma le autorità londinesi hanno parlato di terrorismo dopo solo 8 minuti dal fatto. Un’azione fotocopia rispetto a tante altre, solo con l’obiettivo capovolto: non un islamico jihadista contro occidentali, ma un occidentale contro islamici.

Si potrebbe pensare al gesto di un pazzo isolato, di uno squilibrato. Ma questo non cambierebbe le cose: in fondo non è anche ciò che si è detto in tanti casi di azioni riconducibili al Daesh, da Nizza a Monaco di Baviera, da Stoccolma a Parigi, compreso il tentativo fallito sugli Champs-Élysées? La follia non è una buona scusa per nascondere le evidenze più faticose e scomode da ammettere, come il fatto che ci troviamo di fronte a eventi maturati in un contesto storico, culturale, sociale e politico avvelenato dall’odio. Lo abbiamo visto anche nell’attentato di domenica al resort in Mali. Ed è un odio che non guarda in faccia nessuno e soprattutto non si alimenta da una parte sola.

L’odio anche nella nostra fetta di mondo sembra aver attecchito bene: è nelle parole, nei dibattiti, nei post sui social e nei tweet, negli articoli di giornale e nelle trasmissioni tv, nei comizi e nelle campagne elettorali, comprese quelle per eleggere i sindaci. Abbiamo conosciuto periodi anche peggiori di questo per come l’odio si è ramificato nelle libere opinioni, e nessuno rimpiange quelle stagioni. Sembrava ricordare proprio questo la premier britannica Theresa May quando al termine della riunione del comitato d’emergenza per l’attacco alla moschea ha espresso il proprio pensiero: «L’odio e il male non vinceranno», ha detto nell’assicurare a tutti i cittadini, di ogni origine, l’impegno per la difesa di valori quali «la libertà di culto e la libertà di parola».

Il problema è che la libertà di parola, se male esercitata, può diventare la peggiore nemica di se stessa oltre che delle altre libertà. Se la paura è diventata una compagna di viaggio e di vita nelle nostre giornate, se il terrorismo ha alimentato il fuoco dell’odio nelle nostre piazze, forse è anche perché in troppi ambiti è stato perso il controllo delle parole.

La cultura contemporanea ci ha allenati all’autoassoluzione, ma possiamo non cogliere in questo nuovo fatto di Londra il rischio che in un determinato contesto e in una determinata fase storica sia estremamente rischioso lasciare che le parole scorrano libere di promuovere ostilità e divisioni, semplificazioni e sospetti, e che i muri tornino ad attraversare le città oltre che a marcare i confini delle nazioni? L’islam contro l’occidente, i bianchi contro i neri, i nati qui contro i non nati qui (o i nati e cresciuti qui, ma da genitori non-nati qui). Il pericolo che la nostra società corre è fin troppo evidente: quello di permettere che insieme alla paura cresca l’odio, e che con questo si consegni definitivamente il territorio agli estremisti. È proprio questo l’obiettivo delle azioni del terrore, metterci gli uni contro gli altri, spaccare, dividere.

Nessuno difenderebbe la libertà di parola di un imam che incita all’odio, perché si dovrebbero accettare i predicatori di odio con il nostro stesso pedigree? Ci sono battaglie politiche legittime che vanno condotte in nome della sicurezza, per definire regole di convivenza più efficaci, per difendere i valori della nostra cultura e della nostra civiltà. Ma proprio per questo la difesa di tali interessi non può essere raggiunta prendendo la scorciatoia delle parole che alimentano l’odio. Facile vincere così, verrebbe da dire, cavalcando l’angoscia e la paura di popolazioni che si sentono meno sicure. Il fatto è che nessuna rendita è senza prezzo, e lucrare un vantaggio politico o la notorietà nel segno dell’odio è fare arretrare una società.

Ci sono troppi segnali oggi che invitano a preferire i ponti ai muri, pur se tra mille e mille prudenze e attenzioni. Servono intelligenza e responsabilità: non lasciamo che le parole vadano fuori controllo, perché se poi fuori controllo ci vanno anche le idee vorrebbe dire consegnare la vittoria nelle mani del terrore, dell’odio e del male.

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