Le parole della pace sono fatti
giovedì 15 settembre 2022

«Le parole non servono a niente, contano i fatti». Quante volte ce l’hanno detto, quante volte ce lo siamo detto, quante volte lo abbiamo ripetuto. Le parole volano. I fatti restano. I fatti accadono. E, quando diventano bombe, cadono. Tremendamente. Succede anche in Ucraina, oggi, dove russi e ucraini si ammazzano.

E in altri centosessantotto luoghi del mondo dove, oggi come ieri e come l’altro ieri, si continua in molti modi, tutti feroci, tutti assassini, a fare guerra contro l’umanità. «Le parole non servono a niente, contano i fatti». Eppure le guerre cominciano sempre da parole perdute e non dette, e da ordini impartiti. Gli ordini sono parole armate, e se togli loro la divisa diventano slogan e armano anche coloro che non portano uniformi e non impugnano armi.

Le parole perdute e non dette sono i silenzi che non fanno la pace e non lasciano in pace nessuno, soprattutto i poveri. Sono silenzi che uccidono e che distruggono, con rumore di tuono, con clamore di morte e con l’ovatta asfissiante dell’indifferenza o della retorica bellicista. Come in Ucraina, oggi, dove russi e ucraini si fanno a pezzi. E come in quegli altri centosessantotto luoghi del mondo dove prosegue incessante il massacro dell’umanità. Il lento massacro che a volte neppure chiamiamo guerra, ma che oppone e contrappone atrocemente uomo a uomo e uomini a donne e bambini.

L’immane massacro che dicono scriva la storia e che invece continua solamente a insanguinarla. «Le parole non servono a niente, contano i fatti». E allora bisogna avere il coraggio di misurarsi con i fatti. E i fatti raccontano che la pace comincia sempre da parole ritrovate, e annodate e riannodate tra loro.

Da parole rimesse al loro posto, una accanto all’altra e non violentemente una contro l’altra. Una accanto all’altra, sì. Come le persone, come i popoli, come le religioni. Come accade oggi in Kazakistan, dove papa Francesco e altri cento leader religiosi sono riuniti a riaffermare la natura divina eppure umana della pace. Come nelle mille e mille chiese d’Europa dove oggi s’è contemplato il mistero di Dio e s’è pregato per la pace. E come a Trento, nel Religion Today Film Festival, dove per la venticinquesima volta la pace ha preso corpo e immagine in un incontro di uomini e donne di buona fede e di buona volontà. Parole ritrovate, ricentrate e messe una accanto all’altra.

Senza violenza, ma con forza e decisione e tutto il coraggio necessario per fare resistenza all’odio, disubbidire alla disumanità, disarmare le mani, sollevare obiezione alla guerra, pregare insieme e negoziare e dichiarare la pace. Dobbiamo smetterla di credere a chi ci dice che le parole non servono a niente. Tutte le parole hanno consistenza e peso e costo. Le parole della pace di più. Togliamo le parole ai signori della guerra, ai maestri delle propagande, ai distillatori di veleni, ai costruttori di muri, ai sobillatori di violenti, ai sabotatori di Dio, e avremo tolto loro tutto.

Riprendiamoci le parole, disarmiamole, ripuliamole, riconciliamole e smettiamo di avere pudore e quasi paura di togliere loro la corazza e di dire in modo nudo e semplice: pace e nonviolenza, bontà e uguaglianza, libertà e responsabilità, fraternità e amore. Le parole sono fatti. E sulla terra degli uomini e delle donne, e sotto il cielo di Dio, è questo – proprio questo – il tempo di dire e vivere le parole della pace. Le parole sono fatti. Le parole della pace di più.

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