Le orme della morte e la sua sconfitta
domenica 22 novembre 2020

I due giacciono a terra, supini, colti nell’attimo della resa: ceneri e fumi roventi precipitano su Pompei, ed è tardi ormai, per fuggire. Anno 79 dopo Cristo, forse il 25 di ottobre. C’è il sole: Plinio il Vecchio, comandante della flotta romana, a Capo Miseno sta riposando in riva al mare. Appena fuori dalle mura della colonia c’è, fra diverse altre, una villa sontuosa, con terrazze che si spalancano sul golfo di Napoli e su Capri. Nelle cantine il mosto fermenta nelle botti, nelle scuderie scalpitano cavalli di razza. Uno stupendo sauro è già bardato con una sella rifinita di bronzo, pronto a partire con il suo augusto padrone.

Ma, riecheggiano esplosioni cupe, e scosse di terremoto. Il cielo, da azzurro, si fa nero. La gente di Pompei fugge. Qualcuno forse si attarda? A cercare un fratello, o a prendere oro e gioielli. Di quei due sconosciuti uno è il padrone, uno è un giovane schiavo, 18 anni forse, ma le ossa già segnate dal duro lavoro. Credono ancora di potercela fare, quando un’onda più rovente li soffoca e li fa stramazzare. Resteranno lì, immobili, per duemila anni.

I calchi dei resti dei due uomini ritrovati in questi giorni a Pompei, nella loro nudità, paiono una scultura: un monumento alla morte.

Ansa

Percepisci ancora l’anelito alla fuga, alla vita; e la resa, e una fine atroce che piomba addosso, rapace. A te, che guardi venti secoli dopo, quei corpi pietrificati eppure tesi a una impossibile salvezza fanno venire in mente Guernica, di Picasso. Il bombardamento della città spagnola di Guernica, gli uomini e i bambini e il bestiame inseguiti dal fuoco di tonnellate di bombe. Pazzi di terrore, carbonizzati mentre inseguono a una via di fuga, che non c’è. Ti viene in mente anche Coventry, la città inglese incenerita dall’aviazione tedesca nel 1940 con una 'dimostrativa' Feuersturm, tempesta di fuoco. Coventry, dove la temperatura raggiunse i 1500 gradi. E Dresda, 1945, questa volta le bombe sono degli Alleati: un’altra tempesta di fuoco, tale da creare nella città un vortice di vento rovente che trascina e inghiotte la gente per strada. E, Hiroshima? Le orme di chi cercava di fuggire impresse dal calore infernale sui muri, come spettri.

In quelle ombre la traccia dello stesso anelito a fuggire, a vivere, dei due sconosciuti di Pompei. Li osservi sullo schermo del pc, in silenzio, a lungo. «Dio non ha creato la morte, e non gode della rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza», risenti le parole del Libro della Sapienza. E lo vedi, quell’istinto poderoso a vivere, in ogni caduto, nella furia della natura o nella ferocia dell’uomo – tante e tante volte, che non le possiamo contare. Lo vedi nelle braccia tese, nei pugni contratti dei poveri corpi nell’inferno del fuoco, uguali nei secoli. O in altri inferni: fame, freddo, persecuzioni, epidemie, come oggi. Si arrendono gli uomini infine, nell’estrema impotenza, alla morte. E come tutti si assomigliano, in quel cedere straziato.

Ma: Dio non ha creato la morte, testimonia l’Antico Testamento, eco di millenaria sapienza. E guardando quei due a Pompei, fermi eppure così intenti a salvarsi nel loro ultimo istante, ricordi anche Paolo ai Corinzi: «L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte».

Promessa netta, e certa. Sarà annientata, infine, la nemica. E correrà ancora quel sauro regale, già bardato nelle scuderie di Pompei: fiero, ma docile al suo vivo – per sempre – cavaliere.

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