Le Ong al Governo: doveri e sicurezza chi rischia la vita va sempre soccorso
giovedì 16 aprile 2020

Caro direttore, ​

vorremmo rivolgerci attraverso il quotidiano da lei diretto alla ministra Paola De Micheli che su queste stesse colonne martedì 14 aprile, nell’intervista realizzata dal suo collega Marco Iasevoli, ha lanciato un appello a noi Ong richiedendo un atteggiamento di «corresponsabilità ». Vorremmo dirle, gentile ministra De Micheli, che in questi giorni abbiamo assistito al susseguirsi di informazioni confuse e parziali su quanto stava e sta accadendo nel Mediterraneo centrale, sino al dramma 'scoperto' ieri con la morte in mare di almeno 12 esseri umani. Il tutto si è svolto in una cornice istituzionale che è apparsa tutt’altro che efficace soprattutto di fronte a una situazione piuttosto prevedibile, sia per motivi geopolitici sia per cause legate alle condizioni meteorologiche favorevoli alle partenze. Centinaia di persone, infatti, hanno tentato di attraversare il Mediterraneo. Nell’intervista ad 'Avvenire', signora ministra, lei fa appello a noi Ong richiedendo un atteggiamento di «corresponsabilità». Invito che accogliamo, certo, ma vorremmo ricordare che 'responsabilità' per noi significa rispondere a doveri e obblighi ben chiari e prima di tutto significa salvare vite umane in pericolo. A tale dovere non ci siamo mai sottratte, operando in linea con le convenzioni internazionali che regolano il nostro modo di agire e definiscono le competenze degli Stati, anche quelli di bandiera delle nostre imbarcazioni. I fatti sono purtroppo che da venerdì 10 aprile, ben 4 imbarcazioni, con circa 250 persone a bordo, sono state lasciate alla deriva, senza che nessun Governo coordinasse i soccorsi o inviasse assetti in loro aiuto. Lunedì, la nave Aita Mari della Ong Salvamento Maritimo Humanitario, si è trovata a dover intervenire per trarre in salvo 43 persone su un’imbarcazione le cui difficoltà erano note da molte ore. I naufraghi, sei dei quali erano privi di sensi al momento del soccorso, non hanno potuto ricevere assistenza medica a bordo, ma soltanto nella serata di martedì l’equipaggio di Aita Mari ha visto accolta la richiesta di evacuazione medica per una donna incinta e una bambina di sette anni. A bordo della nave rimangono tuttora altre persone con urgente bisogno di cure mediche, due delle quali presentano difficoltà respiratorie. Nei mesi scorsi, ci siamo dimostrati disponibili alla discussione di eventuali protocolli operativi per rendere ancor più sicuro il nostro lavoro e quello degli attori con cui entriamo in contatto. E, contemporaneamente, abbiamo operato a livello europeo chiedendo che si strutturasse al meglio un sistema efficace di ricerca e di soccorso, di arrivo in un «place of safety» (luogo sicuro) e di successivo ricollocamento delle persone tratte in salvo. Un sistema che fosse davvero compatibile con quanto previsto dalle Convenzioni internazionali, unica soluzione possibile per far fronte ai flussi di questi ultimi anni. Ebbene con il decreto del 7 aprile 2020, ci sembra che l’Italia voglia sottrarsi a quelle che lei, ministra, chiama 'corresponsabilità', privando i porti della definizione di «place of safety» e assimilando l’Italia stessa a un Paese in stato di guerra o in cui regimi illiberali impediscono il rispetto dei diritti e della libertà di ciascuno. Ancora una volta si confonde il dovere legale e morale di salvare chiunque si trovi in pericolo in mare e condurlo in salvo, con i limiti che sono stati posti a livello europeo da Schengen. Questo è reso evidente dalla proposta dallo stesso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti alla Protezione Civile per la gestione del caso Alan Kurdi: un Paese insicuro non sarebbe in grado di predisporre risorse per la presa in carico su assetti propri delle persone soccorse in mare. Comprendiamo perfettamente le enormi criticità sanitarie che l’Italia si trova a dover affrontare e ci siamo messe a disposizione fornendo supporto medico o logistico sul territorio, operando all’interno di una cornice di responsabilità in un contesto complicato, ma non è più tollerabile assistere a naufragi in diretta e omissioni di soccorso. Dalle dichiarazioni a mezzo stampa diffuse il 13 aprile da Frontex emerge infatti che sia l’agenzia europea che le Guardie Costiere italiana e maltese fossero a conoscenza della presenza di imbarcazioni in pericolo e non siano intervenute. Particolarmente grave è il mancato e tempestivo intervento con riguardo al natante segnalato fin da venerdì scorso, con a bordo oltre cinquanta esseri umani. Una tragedia che ha provocato la morte di almeno 12 di persone e ha portato, secondo l’Onu, a un respingimento indiscriminato in Libia da parte di Malta. Per questo, al fine di superare le criticità emerse nelle drammatiche vicende degli ultimi giorni e nell’intento di tutelare la vita e l’incolumità dei più vulnerabili, chiediamo al Governo italiano e a lei, Ministra, di impegnarsi, insieme ai partner europei, nel soccorso delle persone in mare; e di fornire precisi protocolli sanitari da poter seguire in caso di soccorso da parte delle nostre navi. Chiediamo altresì che vengano fornite tempestivamente informazioni sulle imbarcazioni in difficoltà da parte delle autorità direttamente coinvolte e che queste si coordinino per assicurare soccorsi adeguati e relativo sbarco in un porto sicuro, in ossequio alle convenzioni internazionali.

Alessandra Sciurba presidente di Mediterranea Saving Humans
Johannes Bajer presidente di Sea Watch
Riccardo Gatti presidente di Open Arms Italy


Accolgo volentieri, cari presidenti e amici, la vostra lettera e il vostro appello alla costruzione di una serie di 'protocolli' che consentano di coniugare sicurezza sanitaria e intervento umanitario nel Mediterraneo. Ho motivo di credere che questo sia anche l’intendimento del Governo italiano e perciò mi auguro che ognuno dei ministri firmatari del decreto di chiusura dei nostri porti 'per Covid-19' contribuisca a far sì che si esca presto dalla condizione di ambiguità e di confusione che in questi giorni ha oggettivamente e desolatamente gravato sul Mediterraneo. La strage del Lunedì dell’Angelo, almeno dodici vittime in mare per soccorsi possibili eppure mancati, di cui ci ritroviamo a dar conto oggi, e che sembra gravare sulle spalle e sulle coscienze dei nostri vicini e amici maltesi, ne è la drammatica prova, così come le notizie di aggravamento in Libia sia della situazione sanitaria sia della guerra in corso. È inimmaginabile che persone in fuga da una simile tenaglia di morte e costrette ancora una volta a finire nelle mani di cinici trafficanti di esseri umani, si ritrovino circondate solo da sponde alle quali non è possibile approdare: perché è questo che accade oggi con Malta, Italia, Tunisia e con la stessa Libia. Credo, insomma, che sia molto seria e grave la sfida che sta davanti a tutti noi, e uso il 'noi' di europei ma anche quello di italiani. La pandemia che infuria nel nostro Paese , e che si sta facendo il possibile per non far esplodere nel nostro Sud, impone sacrosanta prudenza, non esenta dai doveri di umanità e non assolve dalle omissioni di soccorso. 

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