Le mosche nel cuore e la voce del padre
mercoledì 16 settembre 2020

Ogni giorno cronache di violenze brutali e senza senso. C’è chi cerca di non ascoltare, chi invoca la pena di morte, chi ammutolito pensa: 'Mio Dio!' E poi, sempre, i tg entrano nella casa delle vittime, mostrano i genitori, i fratelli attoniti. Che non hanno, nello strazio, parole, che non sanno attaccarsi se non a una sola parola: 'Giustizia'. Giustizia almeno, domandano, in un umano desiderio che il colpevole paghi, che trent’anni di prigione siano un povero contrappeso a tanto male. Giustizia, dicono affranti i padri, le madri.

Ma viene da domandarsi: certo, ma se anche verrà fatta, cosa sarà la giustizia di fronte alla voragine di vuoto di un figlio, di un marito perduto? Di giustizia, all’Angelus di domenica ha parlato il Papa. Partiva dalla parabola del padrone che condona al servo una somma enorme, mentre quello stesso servo si accanisce poi contro un piccolo debitore. Il padrone, Dio, ha compassione, l’uomo pretende con rigore ciò che gli è dovuto. «Nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia», ha commentato Francesco, e ha aggiunto: «E nella vita non tutto si risolve con la giustizia, lo sappiamo». Lo sa anche chi che non ha avuto un figlio assassinato, ma invece esistenze normali, e ha fatto, e subito, normali torti, e ha addosso 'normali' rancori. Liti in famiglia, faccende di soldi, tradimenti, rivalità. E magari tanti anni dopo, al pensiero di quel certo volto, ancora si irrigidiscono.

Padri di famiglia, lavoratori, ma a 'quel' ricordo si alza un invalicabile muro: quella persona no, non la possono perdonare. Il Papa domenica parlava di quanti, e siamo in molti, hanno in un angolo di sé una calcificata avversione, il senso di un’ingiustizia non riparata: e sognano che un giudice finalmente, oppure almeno il destino, pareggi i conti. Siamo noi, quel servo perdonato di un grande debito, che perseguita un piccolo debitore e se ne sente in diritto, giacché pretende 'giustizia'.

Ciò che spesso non sappiamo però, è che non perdonare ha un elevato costo. È un’ombra addosso, anche nelle belle giornate; è zavorra che affatica il cammino, e indurisce lo sguardo. Perché in fondo si tratta, educatamente, di odiare. Certo, magari per anni non ci si pensa: il rancore come un virus latente, ma accasato nell’organismo. E il Papa da San Pietro mostra con la sua mimica da discendente di italiani di sapere bene come si comporta, il rancore: «Non è facile perdonare – dice – perché nei momenti tranquilli uno dice: 'Sì, questo me ne ha fatte di tutti i colori, ma anch’io ne ho fatte tante. Meglio perdonare per essere perdonato' ». Ma poi – continua Francesco – «il rancore torna, come una mosca fastidiosa d’estate che torna, e torna e torna...».

E il dito indice del Papa gira nell’aria, gira su se stesso, e pare di vedere quelle mosche nervose e prigioniere che in casa sbattono contro un vetro chiuso, si allontanano, sembrano scomparse, e rieccole attorno, con il loro ronzio senza pace. Dio opera la misericordia, la viscerale com-passione del padre buono, e perdona – «largamente», come dice il libro di Isaia. Noi nel torto subìto attendiamo, come umanamente ci è dovuto, giustizia. Attendiamo che chi ci ha offeso, tanto o anche poco, paghi, in un redde rationem. Come nell’ultima udienza di un interminabile processo, quando la condanna infine venga scandita, netta, e la seduta venga tolta. (Ma, ti domandi, quanto conterà quella condanna nelle notti in cui il ricordo di un figlio o un padre perduto ritorni, vivo e cocente?) Umana, necessaria e doverosa giustizia: infine, però, davanti al dolore, poco più che polvere – come tante delle cose degli uomini. Francesco ha concluso citando una frase del primo libro del Siracide che lo aveva colpito, quella stessa mattina: «Ricorda la fine, e smetti di odiare».

L’ha più volte ripetuta sotto al cielo ancora estivo di Roma, gravemente: «Smettiamo di odiare ». «Non possiamo pretendere per noi il perdono di Dio, se non concediamo a nostra volta il perdono al nostro prossimo. È una condizione (...) Caccia via il rancore, quella mosca fastidiosa che torna e torna. Se non ci sforziamo di perdonare e di amare, nemmeno noi verremo perdonati e amati». Come dice la prima preghiera cristiana: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Quante migliaia di volte la ripetiamo nella vita, questa frase? Formula limpida, eppure come sempre dimenticata. Le nostre mosche ci ronzano indisturbate nel cuore. Come mostra a San Pietro il dito indice di quest’uomo che ha vissuto, e ci conosce. E, da padre vero, ci dice quello di cui davvero – prima di tante altre cose – abbiamo bisogno.

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