sabato 9 gennaio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
​Caro direttore,
l’episodio orrendo di Colonia è un atto di guerra. Inutile attribuirlo ai “fumi dell’alcol”. È stato un atto organizzato e un messaggio molto esplicito alla civiltà europea e ai suoi valori. La storia, anche recente, ci insegna che il corpo delle donne è sempre stato un campo di battaglia e lo stupro di massa un atto di guerra. Vogliamo o no aprire gli occhi?
Io vivo in Belgio da 26 anni. Che mi dicano oggi che il Paese è la capitale europea del terrorismo islamico non mi stupisce affatto. Da almeno un decennio esistono a Bruxelles dei quartieri nei quali le donne non possono circolare se non intabarrate, velate o accompagnate. Quartieri nei quali bande di ragazzotti simili a quelli di Colonia assaltano le donne con i capelli sciolti, e li strappano. Io stessa ho commesso l’errore, qualche anno fa, di affittare un loft a Schaerbeek, quartiere gemello dell’ormai arcinoto Molenbeek. Avevo una bella terrazza che ben presto non ho più potuto usare: appena uscivo spuntavano gli avvoltoi del vicinato, cominciavano gli insulti. Volgari, aspri, violenti. Una donna sola non può essere altro che una poco di buono... Poi qualcuno ha cominciato a rubare la mia posta: hanno scassinato la cassetta delle lettere. Di notte i soliti ignoti mettevano le lettere sotto la mia porta. Sono abituata a vedere carovane di burqa con carrozzine e barbuti che guatano i «sales belges» (gli «sporchi belgi»). Attaccare le donne europee, che incarnano tutto quello che gli integristi detestano, è un messaggio molto preciso: siamo qui, vi domineremo, voi siete pecore e noi siamo leoni.
Decine di donne assaltate da gruppi di uomini che infrangono la loro integrità umana e femminile, lasciandole traumatizzate e piene di lividi. «Ora ho paura a uscire», ha ammesso una di loro. Ma cara, è proprio questo il loro scopo. Che tu smetta di uscire, di studiare, di lavorare, di cantare, di suonare, di scrivere, di esistere. Che si voglia o meno, questi episodi sono destinati a ripetersi. Perché questi sono in guerra contro di noi. Se avete una figlia, una sorella, una moglie, ditele che molta parte dell’avvenire dell’Europa si giocherà sulle donne, sul loro corpo e sulla loro libertà. Che dovranno brillare per sconfiggere chi vuole la tenebra e il caos, che dovranno custodire la fiamma della libertà e prepararsi a difenderla. Come, non lo so. Dovremo scoprirlo, tutti insieme.
 
Marina Liore CanteleLeggo con grande rispetto e profonda partecipazione la sua lettera/testimonianza. E la ringrazio molto, gentile e cara amica, per averla fatta arrivare sulla mia scrivania. Eppure io non credo che “siamo in guerra”. La guerra infuria vicino, certo, ma non qui e non ora, nella Vecchia Europa. Non nel senso proprio di quell’espressione. Credo però che “non stiamo in pace”, che non possiamo stare in pace. Perché dove – in qualsiasi forma, anche in quella “contro le donne” assunta a Colonia e in altre città europee la notte del 31 dicembre 2015 – c’è sopraffazione, violenza, volgarità e ingiustizia nessuna quiete è ammessa e c’è un gran lavoro da fare. “Siamo in cantiere”, cara signora Liore Cantele, per questo non possiamo rinunciare ad avere in testa (e sulla carta) un progetto serio, e metodi condivisi per la nostra fatica comune. Il progetto è quello della «integrazione delle differenze» che l’Europa si è data dopo gli infiniti e abominevoli orrori della seconda guerra mondiale e che il mondo stenta ancora a darsi nonostante gli infiniti e abominevoli orrori di una lunghissima «terza guerra mondiale a pezzi». I metodi di costruzione sono la lingua comune, le tecniche di base e alcune salde ed essenziali regole che consentono di far crescere l’opera e di tenere insieme le maestranze. Fuor di metafora: l’Europa unita dei popoli ha bisogno di una cultura del rispetto e della solidarietà resa più ricca dalla “passione” (non, dunque, dalla mera sopportazione) per le specificità degli altri e di princìpi semplici e forti – uno di questi è l’assoluto riconoscimento della dignità della donna, della sua pari altezza con l’uomo – che si traducono in costumi e norme civilmente irrinunciabili. Altro che strenuo e sciocco relativismo...Abbiamo molto da fare in questo senso. E dobbiamo farlo adesso. Perché adesso, mentre non tutto è cresciuto bene e molto s’è perso malamente nelle nostre società, stiamo accogliendo nuovi cittadini (il cui umano bisogno di futuro incontra il vuoto di gioventù del Vecchio Continente). E non possiamo confinarli o lasciare che si autoconfinino in pezzi a sé stanti di società, riserve di irrimediabile estraneità, ghetti inevitabilmente esplosivi di risentimento. Ciò che è accaduto a Colonia (e altrove) è anche la rivelazione di un limaccioso fiume carsico che scorre nelle nostre società e che non possiamo ignorare e che dobbiamo bonificare. È la conferma del dovere di umanità e di fermezza che ci tocca, perché “noi” e “loro” possiamo diventare pacificamente un “noi” più vero e più grande. L’abbiamo già fatto nella nostra storia di europei e non possiamo disimparare e tentennare proprio adesso.Marco Tarquinio
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI