mercoledì 18 giugno 2025
Cosa ha voluto dire Leone XIV alla Chiesa del Paese - e ai cattolici - nel discorso al nostro episcopato? Annuncio, pace, dignità umana, dialogo. E poi, visione antropologica, laicato e molto altro...
Il Papa saluta i vescovi italiani prima del suo discorso in Vaticano

Il Papa saluta i vescovi italiani prima del suo discorso in Vaticano - Ansa

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Un «particolare legame» unisce la Chiesa italiana al Papa. Un vincolo unico al mondo, un dono speciale, e una responsabilità: quella di chi ha il compito di mostrare come si vive la «collegialità con il successore di Pietro». Di chi conosce il modo di seguirlo.
Le parole consegnate da Leone XIV ai vescovi del nostro Paese, ricevuti ieri in Vaticano in un incontro assai atteso per “fare conoscenza” diretta, hanno un peso specifico più che doppio. Perché sono le prime di un rapporto che è per sua natura stretto, familiare, un «legame privilegiato»; e perché, com’era nelle previsioni, Leone ha voluto «indicare» ai nostri vescovi «alcune attenzioni pastorali». Non sue personali priorità, ma la lettura di ciò che «il Signore pone davanti al nostro cammino e che richiedono riflessione, azione concreta e testimonianza evangelica».

Basterebbe questo punto per cogliere l’essenziale, quel che conta ora. La sintonia tra la Chiesa italiana e il Papa, che ne è il primate, è nella struttura stessa della cattolicità, che a Pietro e a Roma guarda come al suo centro, e che dunque vede nell’Italia la prima testimone del Vangelo. Vale per qualunque Papa. E l’incontro di ieri con Leone ne ha offerto un’immagine nuova e insieme consolidata. Quel che Prevost domanda oggi a una Chiesa alla quale è legato da un rapporto «comune e particolare» (qui cita Paolo VI) e «che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente» (espressione di Benedetto) è l’«audacia » e la «profezia» che «portano a lasciarsi “disturbare” dagli eventi e dalle persone e a calarsi nelle situazioni umane» (espressione assai riconoscibile di Francesco). Abbiamo il privilegio di leggere la nostra realtà attraverso quel che ci vede Pietro in persona, di sentire col suo cuore, di sapere dove volgere lo sguardo: è il carisma della Chiesa in Italia, tutt’uno col Paese e la sua stessa materia prima fatta di un sentire profondo che non viene meno anche sotto i colpi della secolarizzazione, in forme e occasioni imprevedibili. Quello che il Papa ha da dire al Paese attraverso i suoi vescovi ci riguarda tutti, perché ognuno è dentro questa Chiesa per la sua parte di vocazione a far parlare il Vangelo attraverso la propria vita.

Ed è proprio a «uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede» che il Papa – «innanzitutto» – ci chiama: oggi, «in un tempo di grande frammentarietà», mettere «Gesù Cristo al centro» portandolo «nelle vene dell’umanità» è «il primo grande impegno che motiva tutti gli altri». Una priorità nuova? Richiamando sul punto la Evangelii gaudium, pubblicata da Francesco agli inizi del suo pontificato, è Leone stesso a ricordarci che il suo predecessore aveva additato la medesima direzione invitando allora a «una nuova tappa evangelizzatrice». La novità che introduce Leone XIV, semmai, è nell’innestare su questo fondamento le altre tre «coordinate» che giudica essenziali per «essere Chiesa che incarna il Vangelo» in Italia: la pace, la dignità della persona umana e la cultura del dialogo. Una scelta che è come un “compito a casa” sul quale rifletteremo lungo la strada che ci attende, ma che già al primo ascolto mostra la sua pertinenza alla realtà nella quale viviamo. La «relazione con Cristo», sempre «personale », genera infatti l’esigenza e il dovere di essere «Chiesa capace di riconciliazione » – anzi, proprio «casa della pace» – nelle troppe situazioni «umane e sociali» dove «il conflitto prende forma, magari in modo sottile». L’annuncio va reso efficace, incontrabile in uno stile di relazioni rigenerato. Altrimenti è solo bella teoria sociale.

È un impegno preciso al quale il Papa lancia la nostra Chiesa chiedendole originali «iniziative di mediazione nei conflitti locali» e «progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro». Ci conosce, Prevost, sa cosa siamo capaci di fare. E con la serena fermezza che ci sta diventando familiare non fa sconti: se questo è il nostro talento, mettiamolo a frutto, fino in fondo. La sua moltiplicazione per guarire le ferite del mondo e affrontarne le formidabili sfide dipende però da quanto ci è chiaro chi è davvero la persona umana, qual è la sua dignità. Per questo Leone formula l’«auspicio» che «il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale». Un’espressione precisa, che impegna e indica un percorso frutto di una «riflessione viva sull’umano» in ogni sua dimensione («corporeità», «vulnerabilità, «sete d’infinito», «capacità di legame»), e garanzia che la «dignità dell’umano» trovi nella Chiesa in Italia custodia e promozione.

Come questo vada poi fatto nel concreto viene descritto nel quarto tema scolpito dal Papa: il «confronto», l’«ascolto», la «comunione». In una parola, il «dialogo », garanzia dell’annuncio di una verità «credibile», anche grazie al fatto che «la sinodalità diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire». Consegne per un viaggio da vivere senza ansie, come nello stile di un Papa che con i vescovi – salutati uno a uno, di tutti ascoltando una parola e a tutti offrendo attenzione – ha creato un clima di serenità con le idee chiare e di forza tranquilla, spingendoli a «scelte coraggiose». Ricordandogli chi sono, chi siamo: « Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente» e di «annunciare il Vangelo», ma facendolo sempre «con la gioia nel cuore e il canto sulle labbra». C’è altro da dire per sentirci una volta in più fortunati e felici per essere cattolici, e italiani?

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