venerdì 30 luglio 2010
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Rosari e Messe per scongiurarne l’entrata in vigore, mentre i sondaggi davano un solido appoggio alla norma. Boicottaggi minacciati ai prodotti dell’Arizona da parte della confinante California, mentre almeno altri 20 Stati stanno preparando leggi simili. Marce e proteste su entrambi i fronti, accuse di volere instaurare un clima di razzismo e xenofobia da una parte, proteste per la sicurezza del Paese messa a rischio dall’altra. Il tema dell’immigrazione divide gli Stati Uniti come accade spesso in tempi di crisi. E l’anodina sigla SB1070, che da ieri prevede (pur con una sospensiva d’urgenza) di controllare i "clandestini" e di arrestare chi è senza documenti, è lo spartiacque della controversia nazionale: misura iniqua e discriminatoria o modello per il futuro.Con almeno 11 milioni di irregolari, almeno un terzo dei quali messicani (la proporzione è la stessa sugli stranieri presenti in America, in tutto 38 milioni), e la disoccupazione crescente, con il confine lungo il Rio Grande fortificato ma ancora poroso agli ingressi di migranti e ai traffici di droga, è facile fare un balzo indietro di anni. Può accadere così di dimenticare la retorica del melting pot (il crogiolo di razze e culture) e della meno assimilazionistica salad bowl (l’insalatiera in cui convivono le etnie) per resuscitare i timori di un Paese "ispanizzato", cui diede sostegno d’alto profilo anche Samuel Huntington, il teorico dello "scontro tra civiltà", affermando che i latinos hanno maggiori difficoltà di integrazione e snaturano il profilo cultural-politico del Paese. Si tratta di uno scontro che si gioca su più terreni. Quello legale vedrà una lunga controversia trascinarsi fino alla Corte Suprema, contendenti l’Amministrazione democratica e il fronte repubblicano. Obama vuole una riforma complessiva, che porti sostanzialmente a una sanatoria generale per chi già lavora negli Usa e a una blindatura delle frontiere. Ma non ha i numeri e l’avvicinarsi del voto di Mid Term sconsiglia di puntare su una misura impopolare; anche Bush la voleva e il Congresso lo fermò.Certo, gli ispano-americani votano per l’attuale presidente, ma la battaglia non è solo politica. Lo dimostra l’intervento forte, continuato e deciso della Chiesa cattolica, in prima linea per bloccare o modificare la legge dell’Arizona, cavallo di Troia di una nuova ostilità verso gli immigrati. La sensibilità è per i diritti individuali e l’unità di tante famiglie, che rischiano di essere smembrate, padri e madri in carcere o da un versante del confine, i figli affidati ai parenti sull’altro. Certo, i messicani e i centramericani sono in maggioranza cattolici, tuttavia in gioco ci sono la dignità e il rispetto degli esseri umani, che vengono prima dell’appartenenza religiosa.La presa di posizione di gruppi di fedeli, religiosi ed esponenti dell’episcopato è avvenuta in questa prospettiva e non ha suscitato né scandalo né polemica nel Paese. Certo, sui temi della difesa della vita umana e della famiglia c’è spesso più ampia sintonia con il Partito repubblicano (e negli ultimi mesi non sono mancate critiche alla Casa Bianca democratica per posizioni e opzioni giudicate sbagliate o ambigue in ambito bioetico), ma negli Usa come in ogni altra parte del mondo la Chiesa testimonia che questo amore e questo profondo rispetto non possono svanire quando si tratta della vita e della famiglia di chi emigra. Essenziale è e resta il binomio accoglienza e legalità. E la legge è sempre per l’uomo, fatta per creare solidarietà, non per escluderla.Oltre al merito della questione, che sarà di lunga e difficile soluzione, va rimarcato però il ruolo non contestato di attore sociale che le istituzioni cristiane – non solo cattoliche – giocano liberamente sulla scena statunitense, in cui la chiara separazione tra Chiesa e Stato non impedisce ai fedeli – e ai consacrati – di potersi esprimere come rispettati portatori di una visione del mondo autorevole e con pieno diritto di cittadinanza.
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