mercoledì 10 luglio 2013
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La visita di papa Francesco a Lampedusa veicola una molteplicità di significati. Tra i tanti uno è davvero essenziale: il significato spirituale. Il Papa si è recato a Lampedusa per pregare e per esortare tutti alla preghiera. Dico "tutti", perché nei semplici atti simbolici compiuti dal Papa davvero "tutti", o almeno tutti gli uomini di buona volontà, possono riconoscersi: sono atti che impongono la memoria di tante vite spezzate, di situazioni difficilmente immaginabili di indigenza e di abbandono, di speranze coltivate e deluse, di dolori solo raramente alleviati e di coraggio, nella ricerca di nuove terre e di nuove possibilità di vita, di cui spesso nella loro storia gli "occidentali" hanno dato prova e di cui sembrano ormai aver perso memoria. È in questo senso che alla preghiera del Papa possono ben unirsi le preghiere anche di chi non crede, ma è comunque capace di aprire la sua mente e di farla andare oltre l’orizzonte ristretto del proprio io: al posto della parola "preghiera" (se qualcuno la ritiene troppo "confessionale") possiamo porre parole di diverso peso, che non veicolano diretti significati religiosi, ma che si muovono nella stesso senso: compartecipazione, empatia, intenzione, volontà di impegno, sdegno per l’ingiustizia o passione per la giustizia, ecc.È per questo che credo che non sia sbagliato sostenere che la preghiera di papa Francesco a Lampedusa è stata una preghiera "cattolica", nel senso etimologico dell’aggettivo, una preghiera cioè "aperta al tutto" e in modo particolare "a tutti". C’è però anche un altro significato nella visita del Papa a Lampedusa, che può essere colto nel modo ottimale riflettendo su un punto di particolare rilievo della sua prima enciclica, la Lumen Fidei. Al paragrafo 51 leggiamo: «Proprio grazie alla sua connessione con l’amore, la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace». Si noti la forza che in questa proposizione ha la parola "servizio": la fede non pretende di dare ordini o direttive alla politica e alla legislazione, non altera i princìpi della giustizia e nemmeno pretende di possedere le tecniche ottimali per promuovere e garantire la pace. Nei termini di un linguaggio corrente, si potrebbe dire che la fede "rispetta fino in fondo la laicità": essa infatti si limita a "servire" l’ordine delle cose mondane, rispettandone l’autonomia. Si tratta però di un servizio prezioso, perché contribuisce ad edificare "l’architettura dei rapporti umani", evitando che si basino solo sull’utilità e sul profitto e aiutandoci a capire «anche da un punto di vista semplicemente antropologico» che «l’unità è superiore al conflitto» e che ogni nostro impegno deve essere quello di operare sui conflitti per risolverli per trasformarli «in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità» (Lumen Fidei, 55). Gran parte della cultura secolare oggi dominante rifiuta con arroganza (bisogna ribadirlo: con arroganza) questa «luce per la vita in società» che è costituita dalla fede. È pur vero che solo in rari casi (che però sono particolarmente dolorosi) questo rifiuto si manifesta come ostilità e al limite come persecuzione. Nella maggior parte dei casi esso si manifesta nelle forme dell’indifferenza; di una indifferenza soddisfatta di sé, pronta a negare di aver bisogno di qualsiasi altro apporto rispetto a quelli che la stessa società secolare è convita di poter garantire ai propri cittadini: per l’appunto la giustizia, il diritto e la pace (quei "valori" al servizio dei quali si pone la fede). È un’indifferenza che si concretizza in una sorta di accecamento volontario. Fanno sorridere quei sociologi oggi di moda, come Phil Zuckerman, che – lavorando in contesti ristretti (la Danimarca) – sostengono che una società senza Dio e senza fede non solo è possibile, ma anche piacevole. Nel mondo secolarizzato le lacerazioni di cui soffre l’umanità non vengono negate, ma semplicemente rimosse, fino a divenire invisibili agli occhi di quelle popolazioni che si rinchiudono in un recinto di fatto impenetrabile e inaccessibile ai dolori e alle sofferenze che dilagano nel resto del mondo. La visita del Papa a Lampedusa, nel segno della fede, non è solo un invito alla preghiera, è anche un invito a smetterla di guardarci allo specchio: dobbiamo tenere gli occhi aperti sul mondo, perché di tutto il mondo siamo cittadini e non solo della nostra patria. Questo è un insegnamento che ci proviene, sì, dalla fede, ma che (per la tranquillità dei laici) non ha un carattere confessionale. Grazie, papa Francesco.
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