domenica 27 maggio 2012
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Conclusa l’opera redentrice di Gesù sulla ter­ra, con la Pentecoste ha inizio la conversione dei popoli al Vangelo per impulso dello Spirito San­to. Le grandi festività, le ricorrenze cristiane più preziose hanno significati sempre nuovi nel cor­so del tempo, nei momenti più difficili e in quelli costruttivi. La discesa dello Spirito Santo nella Pen­tecoste non ha cambiato i fatti della storia, ma ha permesso di leggerli in una nuova luce, ha tra­sformato gli apostoli, li ha resi capaci di agire nel­la storia per cambiarla, elevando l’uomo alla di­mensione spirituale. La Pentecoste costituisce un grande evento di libertà, perché apre la porta al di­scernimento del bene dal male, e più volte Gio­vanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ricordato che il mondo, allontanandosi da quella luce, si tro­va come in un cono d’ombra, ove si offusca l’oriz­zonte etico necessario allo sviluppo dell’uomo, ma il loro magistero ha ricevuto critiche quasi fosse in­triso di pessimismo. È vero il contrario, perché l’Occidente e l’Europa si trovano oggi nel pieno di un esame di coscienza che coinvolge scelte sba­gliate, registra la caduta di fiducia in un progresso continuo, in un futuro di speranze e prospettive. L’esame di coscienza è di tutto l’Occidente, e l’I­talia ha motivi specifici per uno smarrimento co­sì grande. Il cuore dello smarrimento sembra il go­verno dell’economia, ma la caduta di fiducia coin­volge la capacità di saperci governare, di essere solidali. Ci accorgiamo che l’uomo resta capace di fare il male come in passato, praticare un ter­rorismo che assume volto politico o semplice­mente disumano, decidere chi debba vivere e chi debba morire durante e dopo la procreazione. Il primo passo della nuova nascita, ispirata dalla Pentecoste, è quello di saper guardare dentro se stessi, come fecero gli Apostoli uniti in preghie­ra a Gerusalemme, di «riconoscere le vie della vi­ta » (Atti 2,28), di seguire quei princìpi che go­vernano le attività umane indirizzandole al be­ne. Sembrano parole dirette ai cristiani, invece riguardano tutti. L’errore più grande che po­tremmo commettere è di ritenere che non appe­na si avrà una schiarita nella crisi economica ces­serà l’ansia che ci tormenta. In realtà, la crisi economica è l’effetto, non la cau­sa di una più generale crisi morale. Attuare rigo­rose misure non basta, se non si imprime uno svi­luppo che veda nella sobrietà non l’illusione di un momento, ma un modo d’essere che plasmi i rap­porti tra i gruppi sociali. Ottenere la fiducia tem­poranea dei mercati non è sufficiente se non si sconfigge la speculazione finanziaria giunta a li­velli internazionali devastanti, e non si rapporta­no le economie dei Paesi occidentali ai bisogni dei Paesi poveri che non possono più essere ignorati e compressi. C’è oggi un rinnovato interesse ver­so la dottrina sociale della Chiesa, ci sono gover­nanti che riconoscono che tante sue indicazioni hanno rivelato una validità e una capacità di pre­visione superiore a quella di importanti scuole di pensiero economico. Però, non si tratta di una ca­pacità di previsione di tipo tecnico, affonda le ra­dici in una lungimiranza antropologica che pone altri interrogativi. Può rovesciarsi la logica economica di dominio se non si realizza un cambiamento radicale della co­scienza etica. Si può essere solidali in economia e individualisti nella vita privata e sociale, si posso­no tutelare i più deboli e abbandonare a se stesso, o colpire definitivamente, chi non può neanche difendersi, con leggi e usi favorevoli all’aborto, al­l’eutanasia, alla svalutazione della famiglia, all’e­saltazione delle scelte egoistiche. Questi interro­gativi sono davanti alle società più ricche (se così possono ancora chiamarsi), e avranno risposta a seconda dell’ottica nella quale ci si porrà. Cattolici e cristiani di diverse denominazioni, cre­denti e no, sono impegnati per diffondere una vi­sione umanistica e solidale dell’uomo, una con­cezione buona della vita; favorire un impegno e­saltante, che i giovani apprezzano più di altri e tan­ti adulti stanno oggi rivalutando. Non è un impe­gno facile, ma scaturisce da un fuoco che ci è do­nato, da una luce che aiuta a guardare in modo giusto alla società, che spinge a credere che l’uo­mo può crescere solo se ciascuno è di aiuto all’al­tro, se la famiglia riesce a coltivare valori essen­ziali per le nuove generazioni, se la scuola prose­gue nell’opera educativa dei giovani. A volte, nei momenti più difficili, queste verità ci appaiono chiare e limpide, poi si offuscano in u­na quotidianità che torna ad essere opaca, piega­ta in se stessa. La luce che a Gerusalemme scese sugli Apostoli, e dette avvio all’unificazione del ge­nere umano, oggi chiede di vivere e realizzare quel senso di solidarietà che unisce gli uomini e non può escluderne nessuno, piccolo, povero o emar­ginato che sia.
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