mercoledì 12 agosto 2015
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Sono grato al professor Calò per il suo bel racconto in presa diretta di una storia di accoglienza e di solidarietà domestica eppure per nulla privata: pubblica come i valori cristiani e le virtù civili che richiama. All’unisono con le storie più grandi e più piccole, tutte preziose, che contemporaneamente vengono scritte senza enfasi e sbandieramenti (il bene si fa nel nascondimento) nelle Diocesi della Marca trevigiana (anche se il governatore del Veneto, un tempo assai più saggio di certi suoi compagni di cordata, non riesce a vedere bene). E gli sono altrettanto grato per i molti «c’è» e «ci sono» che mette in fila riuscendo a evocare volti e concrete opere di una fraternità vissuta con semplicità e gioia.Sono le voci e i gesti di «un’altra Italia», dice l’amico lettore. E vorrebbe che questo fosse il titolo di ciò che accade anche in casa sua, in quel di Treviso, bello e vitale spicchio di terra veneta, in questa estate 2015. Certamente dalla disponibilità all’accoglienza in famiglia dei sei richiedenti asilo che il professor Calò chiama i «nostri ragazzi africani» emerge uno splendido e contagioso "di più" di generosità. Ma il mio titolo, quello che oggi introduce come editoriale di prima pagina la sua lettera-testimonianza, è diverso: «Sei con noi. E molti di più». I sei ospiti, la famiglia ospitante e, insieme, tante persone solidali di identica umanità e diversa opinione (anche leghista, lo so bene, con buona pace di qualche capopartito che cerca di tirare fuori il peggio da chi lo vota, ma la vera e buona consapevolezza identitaria non si fonda mai sull’esclusione e la demonizzazione dell’altro e del diverso).Un titolo che ho scelto perché fotografa la rete di carità cristiana e di amicizia civile che s’è intessuta anche attorno al piccolo grande "sì" di una famiglia italiana. Un "sì" che è il risultato delle voci e dei gesti di un’Italia che, per me e non solo per me, non è affatto «altra» e in cui mi riconosco con tranquillo orgoglio.È l’Italia vera, diversissima da quella – finta e insopportabile – degli spacciatori di incubi e dei cinici, dei furbi sentenziosi e dei pavidi arroganti, degli evasori e dei razzisti, dei mafiosi e dei politicanti. È l’Italia in cui sono nato e mi sono formato come uomo e come cattolico, in cui lavoro e pago le tasse, della quale – pur amando il mondo – sono innamorato e della quale mi sento grato debitore. Una terra resa feconda dal millenario seme del Vangelo e da un’antica capacità di composizione in armonia delle differenze. Un luogo plurale che conosco bene, che frequento da concittadino, e dove le persone – come non mi stanco di ripetere – sanno ancora e sempre vivere e guardare le altre persone ad altezza d’uomo e di donna e, per istinto (nonostante cattivi maestri e cattivi giornalisti che fanno di tutto per incattivire il nostro reciproco sguardo), non chiudono mai alcun essere umano nelle celle senza finestre di statistiche e di "categorie" ostili. È questa l’Italia vera, anche oggi. E il professor Calò lo testimonia alla sua maniera, dicendoci che è più che mai necessaria. È un’Italia che ha – che potrà avere se la nostra politica saprà interpretarla e incoraggiarla, se la voce e l’esempio del Papa e dei vescovi italiani saranno compresi sino in fondo – la forza per spingerci a combattere davvero e senz’armi la grande guerra contro la guerra e l’ingiustizia.Continuo a sperarlo. E intanto ringrazio tutti i veneti che fanno (e dicono) le cose giuste. Li ringrazio attraverso quest’amico lettore, che è padre di famiglia, insegna filosofia e storia e non racconta favole, ma riscatta la realtà che i peggiori tra noi – insieme ai signori del terrore e agli sfruttatori di ogni risma – vorrebbero prendere in ostaggio. Grazie per il coraggio senza fanfare, per la fede e per come – in famiglia, nella Chiesa, nella città dell’uomo – sa dire e vivere il "noi". Questo, infine, è il "segreto" da riscoprire. È possibile. E quando accade, non succedono magie, però aumenta la speranza. I problemi non evaporano, ma i giorni cambiano davvero.
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