mercoledì 19 aprile 2023
Dopo l’apertura degli archivi vaticani a Buenos Aires, per volontà di papa Francesco, ecco il lavoro che mostra luci e ombre di una fase storica drammatica e complessa
Buenos Aires, 30 marzo 1976: il generale argentino Jorge Rafael Videla presta giuramento come presidente dopo il golpe del 24 marzo

Buenos Aires, 30 marzo 1976: il generale argentino Jorge Rafael Videla presta giuramento come presidente dopo il golpe del 24 marzo

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Nella sua lettera enciclica Fratelli tutti papa Francesco al paragrafo 249 scrive: « È facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è passato molto tempo e che bisogna guardare avanti. No, per amor di Dio! Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere “la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde”, che “risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte a ogni volontà di dominio e di distruzione”. Ne hanno bisogno le vittime stesse – persone, gruppi sociali o nazioni – per non cedere alla logica che porta a giustificare la rappresaglia e ogni violenza in nome del grande male subito. Per questo, non mi riferisco solo alla memoria degli orrori, ma anche al ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene».

Il Papa ha dato concreto seguito a queste affermazioni prendendo una decisione senza precedenti, quella di aprire gli Archivi vaticani della prima e seconda Sezione della Segreteria di Stato e della Nunziatura di Buenos Aires, relativi agli anni della dittatura argentina dal 1976 al 1983, mettendoli a disposizione della Conferenza episcopale argentina, affinché un gruppo di storici, teologi, sociologi della Pontificia Università Cattolica, coordinati da Carlos Galli, Juan Guillermo Durán, Federico Tavelli, Luis Oscar Liberti, potessero far luce su quanto accaduto in quei terribili anni. Il frutto di questo collegiale lavoro, in tre tomi, reso possibile da questa coraggiosa glasnost vaticana, voluta personalmente da Francesco, è un’opera monumentale e senza precedenti sull’operato della Chiesa cattolica in quella tormentata stagione della storia argentina, dal titolo: “La Verdad los harà libres. La Iglesia Católica en la Espiral de Violencia en la Argentina 1966-1983”.


Un sano revisionismo storico che si preoccupa di illuminare le zone d’ombra giungendo a rimuovere quella ingiusta “leggenda nera” che ha relegato tutta l’istituzione cattolica al ruolo di indifferente spettatore

Il primo volume, pubblicato all’inizio del mese di febbraio, come scrivono i vescovi della Commissione esecutiva della Conferenza episcopale, «è il risultato del lavoro di un gruppo di docenti e ricercatori che si sono dedicati a scrutinare gli archivi per la prima volta accessibili e intende offrire un quadro per comprendere la realtà sociale ed ecclesiale argentina della seconda metà del Novecento, soffermandosi ad analizzare le concezioni teoriche e le azioni concrete che hanno alimentato le diverse forme di conflitto e violenza». Il secondo, uscito ai primi di marzo 2023, è una dettagliata ricostruzione delle vicissitudini e delle contraddizioni della Chiesa cattolica negli anni del cosiddetto “Processo di riorganizzazione nazionale”, con l’intento di svelare in modo cronologico ed esaustivo l’intero ciclo dal golpe del 1976 al ritorno della democrazia nel 1983. Il terzo tomo, infine, proporrà una serie di saggi finalizzati a offrire chiavi ermeneutiche e teologiche, in forma interdisciplinare, su quanto avvenne in quegli anni. Questo pioneristico lavoro di scavo archivistico e sistematizzazione storiografica contribuirà certamente ad aiutare a ottenere quella giustizia tanto attesa, e finora negata, ma anche a dare compimento a quanto la gerarchia argentina aveva pubblicamente promesso già dal 2012, di fare di tutto per la ricerca della verità, volendo contrastare in ogni modo il diffuso consolidamento di un complice olvido, un oblio ingiusto, contribuendo così «alla crescita della pace e della giustizia nel nostro Paese». L’opera prende le mosse dalla originale recezione del Concilio Ecumenico Vaticano II, operata dalla Chiesa argentina, con la nota Declaración de San Miguèl, all’indomani della Conferenza di Medellin del 1968, in un Paese che iniziava a essere travolto da un clima polarizzato e intollerante, in un quadro di crescente violenza diffusa.


Un sano revisionismo storico che si preoccupa di illuminare le zone d’ombra giungendo a rimuovere quella ingiusta
“leggenda nera” che ha relegato tutta l’istituzione cattolica al ruolo di indifferente spettatore
L’elezione di Bergoglio è stata l’occasione che una esangue e strumentale scuola storiografica, ispirata da Horacio Verbitsky, ha preso al volo per tornare a dare smalto a una lettura ideologica, unilaterale e faziosa delle vicende di quegli anni

Per addentrarsi successivamente in una puntuale ricostruzione della prassi pastorale, delle concezioni teologiche e dell’agire delle varie componenti del cattolicesimo argentino: laici, consacrati, preti e vescovi, ma anche della pietà popolare, della teologia della liberazione, delle opzioni politiche, del profilo dei movimenti guerriglieri, delle ideologie e delle tecniche del terrorismo di Stato, del fascino bipartisan esercitato dalla violenza assunta come prassi redentiva, della politica dei desaparecidos, in ottemperanza ai dettami della seguridad nacional, del lavoro nei barrios marginados (i quartieri più poveri e marginali), della difesa dei diritti umani. La Chiesa, hanno commentato i vescovi argentini, non ha paura dell’apertura degli archivi, nella certezza che questa immensa mole documentaria farà apparire le cose sotto un’angolatura completa e diversa da una certa vulgata, fatta cioè non solo di ombre, ma anche di luci.

Lelezione di papa Francesco è stata l’occasione che una esangue e strumentale scuola storiografica, ispirata e per così dire capitanata da Horacio Verbitsky, ha preso al volo per tornare a dare smalto a una lettura ideologica, unilaterale e faziosa della storia di quegli anni, finalizzata ad accusare di complicità e collusione con la dittatura e con la violenza dei militari la Chiesa tout court: l’allora provinciale dei gesuiti, Jorge Mario Bergoglio, il nunzio apostolico Pio Laghi, e con loro tanti altri. Interpretazioni avallate e amplificate acriticamente da una parte rilevante della stampa europea, che ha contribuito alla volgarizzazione e alla cristallizzazione di questa unilaterale lettura. Le quasi duemila pagine di questo importante lavoro, che ha coinvolto numerosi studiosi restituisce insomma la complessità dei fatti ed è frutto di quel «sano revisionismo storico» che si preoccupa di illuminare le zone d’ombra, non di oscurare le evidenze, giungendo a rimuovere quella sorta di ingiusta “leggenda nera” che ha relegato la totalità della Chiesa argentina al ruolo di indifferente spettatore di quanto accadeva nel Paese.

Sono pagine che rivelano i risvolti di una stagione storica drammatica e complessa, che ha lacerato anche il tessuto ecclesiale e reso a volte i fratelli nemici, sotto gli effetti di quella ubriacatura collettiva che venne prodotta dalla violenza, dall’arbitrarietà dell’esercizio del potere, dalla negazione del rispetto dei diritti umani. La Chiesa cattolica d’Argentina, come mostra questo documentato lavoro, ha avuto le sue responsabilità, per le quali ha chiesto perdono, ma è stata anche Buon Samaritano e Arca di pietà e di misericordia per la nazione.

Storico Università di Modena e Reggio Emilia

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