La vera priorità prima smarrita
sabato 15 maggio 2021

«Ci troviamo peggiori di ciò che pensavamo». Colpisce che il presidente del Consiglio abbia aperto con questa considerazione, tanto amara quanto realistica, il suo importante intervento agli Stati generali della natalità. È vero, la storia recente delle nostre società occidentali non è stata sempre una linea retta lanciata verso l’alto, verso magnifiche sorti di progresso economico, sociale e umano. Ma più che fisiologiche flessioni, ciò che si osserva oggi è il frammentarsi di quella stessa linea in tanti puntini, e il suo andamento impazzire, come se non si conoscesse la direzione verso cui puntare, il bene verso il quale tendere. Come non si sapesse più di sé, della propria verità e della propria speranza.

Così oggi che «siamo più sinceri nel vedere le nostre fragilità», per dirla ancora con Mario Draghi, «e vediamo il danno che abbiamo fatto al pianeta e quello a noi stessi... la questione demografica, quella climatica e delle diseguaglianze» tornano ad apparirci essenziali. Torna a essere percepito che avere figli, costruire una famiglia (capace di essere generativa anche quando non si hanno bambini) non è un sacrificio, ma una realizzazione. Che l’individualismo è fine a se stesso e perciò sterile, non costruisce futuro per gli altri. Mentre è l’intera società a guadagnarci quando il desiderio individuale di fare famiglia si unisce alla speranza collettiva e genera vita, relazioni, bisogni, intelligenze per rispondervi. Verità semplici che abbiamo inscritte nel profondo di noi stessi, ma che non tenevamo più di fronte come un lume per chiarirci la strada, le abbiamo confuse tra mille altri fuochi fatui e bisogni indotti.

Eppure le avevamo talmente chiare quelle verità, noi italiani, da averle scritte a lettere inequivocabili nella Costituzione, negli articoli 29 e 31, non per un compromesso tra forze politiche opposte, ma perché terreno comune di culture differenti, cattoliche e laiche, che riconoscono una stessa natura e identità umana. Solo che poi, specialmente negli ultimi decenni, sembra si sia fatto di tutto per perdere quella strada virtuosa: il matrimonio e la famiglia descritti come vincoli e limiti anziché opportunità; i figli come un fastidio per sé e un peso per il pianeta, quasi un atto di egoismo anziché un dono offerto a tutta la società. E, assieme e di conseguenza, l’obiettivo non è stato più «agevolare le famiglie... con particolare riguardo a quelle numerose» ma si è sempre più guardato al singolo cittadino, al singolo lavoratore, al singolo contribuente, al singolo elettore, quello che via via invecchiava. Ponendo ostacoli in ogni campo al fare famiglia, facendo prevalere altri interessi economici e sociali, facendo prevalere diritti secondari su quelli primari, la morte sulla vita.

Perciò gli Stati generali della natalità – organizzati ieri dal Forum delle famiglie presieduto da Gigi de Palo – sono stati un evento fondamentale per l’Italia dei prossimi decenni. Perché con l’eccezionale intervento del Papa, addirittura in presenza a segnarne l’importanza, i discorsi del premier, dei ministri e degli esperti si è finalmente (e definitivamente si spera) chiarita qual è la vera priorità per il nostro Paese. Quella di ricreare le migliori condizioni esterne – nel lavoro, con il fisco, attraverso i servizi – per far sì che i giovani possano realizzare concretamente (e velocemente) un progetto di coppia, dare vita vera al loro desiderio di genitorialità. Perseguendo, magari, come ha detto (e lo aveva anticipato su queste pagine) il demografo Gian Carlo Blangiardo, oggi presidente dell’Istat, l’obiettivo realistico di tornare gradualmente ma stabilmente sopra le 500mila nascite annue in un decennio.

Gli impegni per una svolta pro-famiglia assunti dal premier e dai ministri sono stati netti e inequivocabili. Gli strumenti per realizzarli certamente perfettibili, soprattutto per quanto riguarda l’Assegno unico, che sconta ancora una carenza di risorse e una macchinosa fase di avvio. La direzione indicata, però, è quella giusta. E non impegna solo il governo, ma tutte le forze politiche e soprattutto sociali, a partire dalle imprese che devono diventare sempre più 'amiche delle famiglie'.

Dovrebbe essere chiaro, infatti, che il vero obiettivo non è semplicemente quello di far ripartire le nascite – oggi scese ai livelli più bassi dall’unità d’Italia – perché altrimenti non ci saranno lavoratori, crescita economica, pensioni e futuro. Non è solo quello di evitare che l’Italia invecchi e muoia. Ma qualcosa di molto più grande e importante per tutti che rischiavamo di smarrire: ritrovare la nostra umanità, la verità su noi stessi. Ivano Fossati lo direbbe meglio così: «Dicono che c’è un tempo per seminare / E uno più lungo per aspettare / Io dico che c’era un tempo sognato / Che bisognava sognare». Dobbiamo tornare a sognarlo questo tempo, perché ne maturino i semi.

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