giovedì 28 marzo 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
«Gesù non ha casa perché la sua ca­sa è la gente». Ormai è chiaro: nel pensiero, nei segni, nella predicazione di papa Francesco, questa immagine non è la conclusione a effetto di un sermone de­voto. È l’inizio di una rinnovata teologia della Chiesa, che deve smetterla di guar­darsi allo specchio. In questa ossessione, riconosciamolo francamente (nei suoi ap­punti per le Congregazioni del Conclave, pubblicati dal nostro giornale, il Papa par­la di «parresia», il lessico cristiano della 'franchezza' evangelica), abbiamo perso troppo tempo. Una Chiesa che si guarda allo specchio – a volte con compiacimen­to, a volte con angoscia – perde la pro­spettiva. A volte si piace troppo, a volte si deprime per niente. A volte si concede alle inte­ressate lusinghe di occasionali ammira­tori, a volte si perde nella malinconia di non essere abbastanza cercata. Così di­venta sempre più autoreferenziale, inco­mincia a preoccuparsi troppo per cose da poco, investendole di importanza supre­ma (e di penosi litigi). Scambia l’ostenso­rio per il Signore, cerca la pagliuzza e non vede più la trave, confonde il tempio del­la preghiera per tutti i popoli con il confor­tevole luogo della propria autocelebra­zione.
In altre parole, come annotava il cardinale Bergoglio nei suoi appunti, «la Chiesa si ammala». Ed è una malattia che diventa terribilmente seria, se non è cu­rata in tempo. Il Papa l’ha chiamata «nar­cisismo teologico». Esistono insomma «due immagini di Chiesa», fra le quali dobbiamo ogni volta risolutamente smascherare la differenza. Esiste la Chiesa evangelizzatrice «che esce da se stessa». Oppure, la Chiesa monda­na, «che vive in sé, da sé, per sé». E que­sta seconda può avere persino un’appa­renza – un belletto, un abito, una loquela – verosimilmente spirituale. Un pericolo, per chi deve essere evangelizzato, perché in un primo momento potrebbe esserne anche attratto. Ma l’inevitabile delusione, alla prova del Vangelo e della vita, lascia poi ferite difficili da rimarginare.
È l’ef­fetto di fraintendimento di quella che il Papa Bergoglio, con un efficace ossimoro ricevuto dal teologo De Lubac, ha chia­mato «mondanità spirituale». Il male peg­giore in cui può incorrere la Chiesa. Negli appunti della sua conferenza ai car­dinali prima del Conclave, Bergoglio pro­pone un’immagine assai forte della deri­va di questa esasperata autoreferenzialità della Chiesa. Nella conclusione del libro dell’Apocalisse si trova la bella immagine di Gesù che sta alla porta e bussa. «Penso che a volte Gesù – commenta il cardinale Bergoglio – bussi da dentro, perché lo la­sciamo uscire». La Chiesa autoreferen­ziale, infatti, «pretende di tenere Gesù Cri­sto dentro di sé e non lo lascia uscire». La Chiesa, invece, deve seguire Gesù che e­sce da ogni ripiegamento di Dio «in se stesso», e punta dritto sulla «folla» in at­tesa di parole e segni trasparenti della mi­sericordia di Dio. Ossia, della certezza che Dio non si dimentica degli umani, nep­pure quando essi lo rimuovono. Dio sa che gli umani, segretamente, sperano di essere smentiti nel loro abbandono di Dio. «Lui fa sempre il primo passo».È dunque inconcepibile che la Chiesa aspetti di es­sere semplicemente visitata e riverita nel suo salotto buono. Dovunque c’è popolo, lì si compone la Chiesa: Gesù, i discepo­li, la folla... E dove la leggenda dell’assenza di Dio ha seminato la rassegnazione di una religiosità sostitutiva del vitello d’oro, che depreda il popolo dei suoi ultimi beni e ingrassa la disperazione, lì si restituisce la Chiesa alla sua immagine. Mai tanto bella come quando si fa luna del Signore in cui Dio parla e agisce. Mai tanto vera come quando esce da se stessa, e segue il Signore fino alle periferie del mondo e della vita. Morte compresa. Mai tanto a casa propria, come quando si fa casa per quelli che non ne hanno, né per il corpo, né per l’anima.La Settimana Santa è l’antidoto perfetto alla tentazione del narcisismo teologico. Questo passaggio è diventato cruciale, e il Papa ha deciso di non girarci intorno con troppi distinguo. Perché il narcisismo è semplicemente la lebbra spirituale del secolo. E ha proporzioni epidemiche. La celebrazione del Giovedi Santo, a partire da oggi, deve essere guardata con uno sguardo di purezza nuova. Il popolo al quale il Signore continua a consegnarsi, Corpo e Sangue, siamo noi più tutti quelli che stanno fuori: alla periferia delle canoniche devote e delle città intelligenti. Il Signore e il suo Vangelo sono per tutti loro. Quando succede questo, succede la Chiesa che Lui ha voluto. Perciò, grembiule ai fianchi, bacinella di acqua pulita, lino bianco sul braccio. E uscire.​
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: