La tensione (nucleare) con l’Iran si ferma tra Teheran e Gerusalemme
giovedì 23 febbraio 2023

Caro direttore,
l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) avrebbe riscontrato, nel corso delle sue ispezioni in Iran un accumulo di una quantità non precisata di Uranio arricchito all’84%, un livello pari a quello necessario per produrre un’arma nucleare. Se ne saprà di più in occasione del Consiglio dei Governatori dell’Agenzia che si terrà il 6 marzo. L’evento, se confermato costituirebbe una flagrante violazione, oltre che del Trattato di non proliferazione nucleare anche dell’accordo Jcpoa sul nucleare iraniano e un’ulteriore indicazione dello stato comatoso in cui si trova questa intesa che aveva suscitato tante speranze, tra cui quella di un riavvicinamento dell’Iran al mondo occidentale.

L’ottusa politica dell’amministrazione Trump che nel 2018 ritirò gli Usa dall’accordo e l’incapacità dell’Unione Europea a mantenerlo in vita, hanno fatto sì che uno dei maggiori Stati della regione mediorientale, oltre ad avvicinarsi all’arma nucleare sia anche passato stabilmente nell’orbita strategica russo-cinese, come dimostrano le forniture alla Russia di Putin di droni iraniani per attacchi e bombardamenti in Ucraina. Teheran potrà così anche contare sulla protezione di due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per porsi al riparo da condanne e ulteriori sanzioni. Il ritorno al potere di Benjamin Netanyahu, acerrimo nemico dell’accordo Jcpoa, affossa ulteriormente un’intesa che, unica nella storia, era riuscita a impedire con mezzi pacifici la deriva militare di un programma nucleare. Non vi si era riusciti né con l’India, né con il Pakistan e tanto meno con la Corea del Nord.

E nessuno più di Israele avrebbe interesse a porre sotto controllo il programma nucleare iraniano… Le possibilità di rilanciare l’accordo sono ormai minime anche perché ci si sta ormai avvicinando al 2025 anno in cui alcuni degli impegni nucleari dell’Iran verranno comunque a scadere. In situazioni normali si sarebbe potuto pensare a una proroga, ma oggi il clima idilliaco in cui era stato negoziato l’accordo appare del tutto tramontato. Occorre, a questo punto, pensare a soluzioni alternative al di fuori dai sentieri sinora battuti. Si dovrebbe anzitutto tornare al punto di partenza di questa vicenda che è la viscerale reciproca ostilità che anima Israele e l’Iran e che si ripercuote su tutta l’area mediorientale come anche sui rapporti tra Iran e Usa. L’ostilità tra il popolo ebraico e quello persiano non è affatto atavica. Gli ebrei erano presenti nella Persia sin dall’ottavo secolo avanti Cristo dopo la schiavitù in Babilonia. I re persiani consentirono loro di ritornare a Gerusalemme e ricostruire il loro tempio. L’Iran e Israele, con la Turchia, sono gli unici Paesi non arabi della regione. Per oltre due millenni una fiorente comunità ebraica ha convissuto con la civiltà persiana. Se anche il loro trattamento non fu sempre esemplare, esso fu certamente più umano di quello riservato agli ebrei d’Europa. I rapporti del nuovo Stato ebraico e dell’Iran ai tempi dello scià erano cordialissimi.

Ciò fu probabilmente una delle cause che indussero il regime degli ayatollah a capovolgere tali rapporti e ad aprire una stagione di aperta ostilità partendo dalla revoca del riconoscimento dello Stato di Israele chiamato da allora in forma dispregiativa «entità sionista». Per spiegare tale ostilità la parte iraniana invoca anzitutto l’ingiusto trattamento del popolo palestinese. Questo non può essere il solo motivo che induce lo Stato a guida sciita a sostenere , con un ardore superiore a quello di molti Stati arabi, la causa dei palestinesi che sono maggioritariamente arabi e sunniti. Prevalenti sono, invece, i motivi strategici. L’Iran è cosciente di non poter competere militarmente con Israele e attraverso il sostegno alle milizie sciite di Hezbollah in Libano, di Hamas a Gaza e al regime alawita di Bashar al-Assad in Siria (che circondano lo Stato ebraico) cerca di riequilibrare il rapporto di forze con Israele. Ma, in realtà, i due Paesi non hanno dispute territoriali e sono abbastanza lontani geograficamente per evitare uno scontro diretto. Se Israele è riuscito nel corso degli anni a normalizzare i rapporti con un buon numero di Paesi arabi, non vi motivo per cui non possa fare altrettanto con l’Iran.

Parlare astrattamente di pace e di riconciliazione sembra facile, ma occorre più coraggio a porre da parte antichi o recenti rancori piuttosto che affidarsi all’alea di un confronto militare. Ai fini di quella che sarebbe una riconciliazione occorrerebbe un gesto di grande coraggio analogo quello storico del presidente egiziano Anwar al-Sadat che si recò personalmente a Gerusalemme nel 1987 per porre su un binario nuovo i rapporti tra Israele e l’Egitto. Sadat lo fece solo pochi anni dopo la sanguinosa guerra del Kippur; Iran e Israele dovrebbero percorrere lo stesso sentiero prima e non dopo un possibile conflitto. Cercansi uomini o donne all’altezza di questa sfida.

Ambasciatore

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