mercoledì 6 luglio 2016
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«La pace in Siria è possibile». Lo ribadisce con forza papa Francesco in un suo videomessaggio a sostegno della campagna di Caritas Internationalis. A dispetto delle violenze continue che colpiscono senza tregua la regione e delle tante forze che remano nella direzione opposta. E nonostante i tentacoli della follia jihadista, che sembrano diffondersi sempre più dentro le comunità islamiche, o i tatticismi cinici dei vari attori regionali e internazionali. Eppure, dice Francesco, la pace è concretamente raggiungibile. Un obiettivo che il Papa propone "mettendosi in gioco", indicando la strada da percorrere. Tre anni fa disse con forza che cosa non si poteva fare (la guerra totale) e chiamò credenti e non credenti a gridarlo con la preghiera e il digiuno, oggi dice con altrettanta nettezza quale processo si può e si deve avviare.Innanzitutto, si può costruire la pace solo capendo una volta per tutte che per la Siria una soluzione militare non c’è. La guerra non può essere la risposta allo sfacelo di uno Stato e alla tragedia di un popolo, la risposta viene solo dall’impegno diplomatico e politico. Il che non significa rinunciare a combattere il Daesh e il terrorismo jihadista, ma avere la consapevolezza – e quante volte "Avvenire" l’ha ribadito – che l’azione delle Forze armate, sotto mandato internazionale, può avere un senso solo se parte di un progetto politico coerente che metta al centro le esigenze dei popoli, non le ambizioni dei vicini o la difesa del dittatore di turno. Proprio questo finora è mancato nell’azione in Siria e Iraq. Dapprima si è rimasti quasi inerti dinanzi la crescita del Califfato jihadista, mentre ora assistiamo a una serie di iniziative militari non collegate fra loro, quando non in chiara opposizione: Turchia, Iran, Arabia Saudita, Russia, si muovono secondo logiche da Guerra fredda, interessate non a un armistizio, bensì a sostenere una delle parti in conflitto, a costo di prolungarlo indefinitamente. Le potenze occidentali – che hanno mostrato per anni di non saper leggere le dinamiche in atto nella regione – navigano perlopiù con piccolo cabotaggio.È invece il momento di agire per rilanciare le trattative di pace con un obiettivo ben preciso, che Francesco spiega senza i barocchismi del linguaggio diplomatico internazionale: la costruzione di un governo di unità nazionale. Ossia l’unico strumento possibile per fermare le violenze, ma che è ostacolato e sabotato da troppi attori politici. Chiedere un governo di unità nazionale significa infatti ribadire che la Siria deve essere mantenuta quale Stato unitario, tagliando l’erba sotto i piedi di chi si balocca con l’idea di "ridisegnare" il Medio Oriente per accontentare le diverse potenze, frammentando la Siria in tanti deboli micro-Stati, che finirebbero come semplici vassalli dei loro protettori. L’«Alawistan» (per alawiti e cristiani) affacciato sul Mediterraneo per i russi, una regione arabo-sunnita per soddisfare gli appetiti sauditi, una zona curda, una fascia di sicurezza per i turchi… Non è questa la strada per offrire un futuro, anzi: una speranza di futuro, alla popolazione siriana.Bisogna al contrario lavorare per rassicurare tutte le maggiori comunità etniche, religiose e culturali di quel Paese, e farle sentire incluse in un progetto credibile. Sapendo bene che ogni governo di unità nazionale risulta macchinoso, e spesso è anche abbastanza inefficiente, ma che è l’unica alternativa al settarismo e alla percezione di essere esclusi e minacciati da un centro politico neodittatoriale. Il che significa anche che Assad, con il suo passato di sangue e di dispotismo, non può rappresentare il futuro della Siria. Putin sembra averlo compreso, mentre gli iraniani – soprattutto i pasdaran – continuano a sostenerlo senza riserve. Teheran ha ottenuto molto in questi anni di guerra nel Levante, più per demerito dei suoi avversari che per merito proprio; deve ora capire che vincere non significa prevalere militarmente, ma ottenere un compromesso politico credibile e sostenibile. La strada è una sola e la indica Francesco, che guarda ovviamente anche alle terribili sofferenze delle comunità cristiane, ma chiede una soluzione e una speranza per tutti i siriani, aldilà di ogni considerazione di fede, cultura o etnia. Una ribadita scelta di campo dalla parte di tutti, non solo di qualcuno.
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