lunedì 15 dicembre 2014
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Gentile direttore,ho appreso con gioia dell’appello-sfida di Natale del patriarca di Baghdad, una notizia per me forte, bella e anche confortante. E l’editoriale a firma di Giorgio Paolucci di sabato 12 dicembre, dal titolo: «Digiunare per l’essenziale», mi ha ulteriormente spinto a farlo. Condivido pienamente la proposta di monsignor Sako perché, è certo, che là dove non arriva l’uomo, «nulla è impossibile a Dio». Tutto, nonostante gli ammonimenti del venerato San Giovanni Paolo II, è scaturito a seguito delle due guerre del Golfo, del 1991 e del 2003, in terre, quelle oggi d’Iraq, dove da millenni cristiani, musulmani e fedeli di altre religioni ed etnie vivevano insieme. La guerra, purtroppo voluta da potenze occidentali, invece di portare ordine e benessere è stata come sempre causa di morte, distruzione e – quale diretta conseguenza – della drammatica fuga, intensificatasi di recente, di centinaia di migliaia di cristiani e yazidi dalle loro case al fine di potersi salvare dall’incombente genocidio a opera delle milizie jihadiste. Chissà dunque se, per una volta, sapremo rinunciare a un po’ della frenetica corsa agli acquisti per noi stessi e dei menù del periodo natalizio per volgere almeno lo sguardo e il pensiero con la preghiera ai tanti sfortunati che vivono in condizioni durissime per testimoniare la loro fedeltà al Vangelo.Clemente Carbonini, Tirano (So)Come lei, caro signor Carbonini, credo anch’io che l’appello del patriarca di Baghdad sia una delle sfide più forti, belle e, sì, «confortanti» con le quali misurarsi e da accogliere, per quanto sappiamo e possiamo, in questo tempo di preparazione al Natale di Gesù. Giorgio Paolucci, ieri, ha già argomentato benissimo a questo proposito. Io mi limito perciò a ricordare a tutti anche l’iniziativa per i profughi in Kurdistan che proponiamo da diverse settimane, accompagnando un approfondito lavoro di informazione, assieme alla Focsiv e ad altri amici. Stiamo accanto ai fratelli e sorelle di fede che sperimentano la persecuzione e vivono quello che papa Francesco chiama l’«ecumenismo del sangue». Perché in diversi modi, spirituali e materiali, ci è chiesto di «non lasciarli soli». Poco o tanto, ognuno per la sua parte, abbiamo qualcosa da dire e da dare, nella preghiera e nell’azione. È giusto farlo, è importante, ed è possibile.
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