mercoledì 3 dicembre 2014
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Gentile direttore,è sabato 29 novembre e mi sta succedendo una cosa “strana”, tra poche ore una delle mie figlie, Benedetta, verrà ammessa in modo definitivo ai Memores Domini. Sono andata a rileggere ciò che aveva scritto don Giussani definendo l’esperienza del Gruppo adulto poi Memores Domini: «Si tratta di uomini e donne che vivono la dedizione a Cristo e alla Chiesa praticando i consigli evangelici (obbedienza, povertà, verginità), impegnandosi nella missione, vivendo il lavoro come il luogo della memoria di Cristo, con lo scopo di riportare la fede nella vita degli uomini». Ho letto e riletto queste ultime parole e ci ritrovo una consegna, la consegna tra generazioni che nella famiglia prende forma e vita: ciò che ho vissuto appartiene a tutti voi. L’avventura della vita passa attraverso la famiglia. In questa attesa, avevo il desiderio di “fissare” i pensieri e di “raccontare” a qualcuno, ho scelto lei. Sono convinta infatti che è tempo di “narrare” mai in prima persona, meglio in terza persona, ma comunque raccontare. Mistero non è ciò che non si capisce, è la fedeltà convinta nel quotidiano che ci salva. Maria Grazia ColomboLa ringrazio dal più profondo del cuore, cara amica, per avermi – e averci – messo a parte di questi pensieri, condividendo la gioia e la forza della forte e fedele scelta di vita cristiana di sua figlia Benedetta. È vero: abbiamo, ogni giorno, la misteriosa possibilità di fare anche del nostro lavoro un luogo – o soprattutto, come anche io dico e provo a vivere, un tempo – «della memoria di Cristo». A questo siamo tutti chiamati, qualunque vocazione seguiamo (la Voce è una, come la strada, mentre il ritmo e il modo del cammino sono diversi). Certo, viviamo contraddizioni che spesso fatichiamo a sciogliere. E, magari, ci rendiamo conto che contraddizioni e fatica accadono e si accrescono perché perdiamo di vista Lui, e dimentichiamo o snobbiamo la parola che ha detto per noi, anzi che per noi Lui è stato sin dal principio. Quella parola creatrice e liberatrice ci è stata lasciata come compito e come avventura. Un’avventura, lei ha proprio ragione, che in molti sensi – e, ovviamente, nel più proprio – possiamo definire “familiare”. È davvero lì, nella famiglia, più che in ogni altra pur preziosa dimensione e occasione, che si può sperimentare e apprendere la «fedeltà convinta nel quotidiano che ci salva». Ed è lì che si trasmette un patrimonio che non è solo sangue, geni e beni, ma è anche cultura ed è fede. Fede in quella Parola che è Cristo. Certamente dobbiamo essere umili e saggi fino a saperla pronunciare e raccontare in terza persona, ma soprattutto ci è chiesto di intenderla, abitarla e condividerla in prima persona, con speranza. Questo, in ogni ambito, è il “campo di lavoro” che ci tocca.
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