Cosa ci dice oggi la Rerum Novarum
sabato 17 maggio 2025

Pubblicata nel 1891, l’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII rappresentò una risposta coraggiosa e innovativa alla crisi sociale scatenata dalla Rivoluzione Industriale. Per la prima volta, la Chiesa cattolica interveniva in modo sistematico sulla “questione operaia”, offrendo una visione che coniugava giustizia, dignità del lavoro e solidarietà.
Di fronte a un mondo in rapida trasformazione, segnato dallo sfruttamento dei lavoratori, dalla disuguaglianza e dal materialismo, Leone XIII propose una via alternativa: non il socialismo rivoluzionario, né il capitalismo selvaggio, ma lo sforzo di tenere insieme le diverse dimensioni messe in gioco da quel grande cambiamento: difendendo la proprietà privata come diritto naturale, allo stesso tempo si affermava il dovere della giustizia sociale, del salario equo e della tutela dei più deboli.
La Rerum Novarum è ancora oggi un punto di riferimento: le sfide della modernità non sono estranee alla fede che può essere invece una bussola per costruire una società più giusta. Una via resa poi canonica dal Concilio Vaticano II.
In effetti, dopo quella enciclica, la Chiesa non ha mai smesso di interrogarsi sulle grandi trasformazioni sociali, economiche e politiche. Basti citare la Populorum Progressio (1967) centrata sulla questione emergente delle disuguaglianze globali e della incipiente globalizzazione; la Centesimus Annus (1991) che, dopo la fine dell’esperimento sovietico, rifletteva sulla libertà e sull’economia di mercato; per arrivare alla Laudato Si’ (2015) e alla Fratelli tutti (2019) in cui Papa Francesco, partendo dal riconoscimento della struttura relazionale della vita naturale e sociale, ha tratteggiato la via di un futuro sostenibile.
Ogni epoca richiede una risposta nuova, ma sempre radicata nei principi del bene comune, della dignità della persona e della giustizia. La Chiesa ha così costruito un patrimonio di saggezza che, senza invasioni di campo, traccia una cornice di senso entro cui le forze sociali, economiche e politiche sono poi creativamente chiamate a mettere a punto le soluzioni concrete per un autentico sviluppo umano integrale.
Come ha spiegato ai cardinali pochi giorni dopo la sia elezione, Robert Prevost ha deciso di prendere il nome di Leone XIV nella volontà di porsi in continuità con la strada inaugurata dalla Rerum novarum. Convinto che il suo pontificato sarà interpellato dalla questione sociale associata con la digitalizzazione. Un processo trasversale che sta imprimendo una accelerazione impressionante al cambiamento sociale. Se la industrializzazione trasformò il lavoro e la società, la digitalizzazione ridefinisce l’essenza stessa delle relazioni umane, del lavoro, della politica e della cultura.
L’intelligenza artificiale, i big data, i social media, l’automazione, la realtà virtuale stanno cambiando il modo in cui pensiamo, comunichiamo e viviamo. E come ogni grande innovazione, questa trasformazione, insieme a straordinarie opportunità, porta con sé anche rischi enormi: la perdita della privacy, la manipolazione delle coscienze, la disoccupazione tecnologica, l’alienazione sociale, l’indebolimento della democrazia.
Al centro di questa riflessione c’è il rapporto tra l’uomo e la tecnica. La domanda centrale è: come evitare che la potenza tecnologica, invece di liberarci, ci renda schiavi? Come impedire che l’algoritmo sostituisca la coscienza, o che l’efficienza soffochi la compassione? Come sfuggire alla pretesa onnipotenza della tecnica mantenendo aperta la finestra del mistero e la via della fede?
La Chiesa si sente chiamata ad aiutare il mondo contemporaneo ad affrontare in modo sensato questa sfida. Lontano tanto dai tecno entusiasmi quanto dalle tecno-fobie. Lungo un percorso che si articola su tre direttrici principali.
L’etica della tecnologia: non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito. Occorre un discernimento costante per evitare che il digitale diventi una nuova forma di dominio.
La centralità della persona: la tecnologia deve servire l’uomo, non il contrario. Il lavoro, la famiglia, la comunità non possono essere sacrificate alla logica della iperconnessione.
La solidarietà digitale: il divario tra chi ha accesso alla tecnologia e chi ne è escluso crea nuove forme di emarginazione. Occorre un’economia digitale giusta e inclusiva.
L’attualizzazione dell’intuizione di Leone XIII è quanto mai opportuna: non si tratta di aver paura del nuovo, ma di mantenere la centralità del fine - la piena realizzazione della vita umana nel contesto del creato - rispetto al mezzo (l’innovazione, la crescita). La digitalizzazione può essere un’opportunità per l’umanità solo se sapremo guidarla con cuore sapiente e sguardo profetico. Una sfida impegnativa che non si può rinviare.



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