venerdì 24 febbraio 2012
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​La sentenza pronunciata ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nulla dice che ogni cristiano come ogni persona civile e di retta coscienza già non sappia: non si scaccia chi bussa alla tua porta senza neanche guardarlo in faccia, senza ascoltarlo, senza riconoscerlo. E questo è un po’ più vero quando la "porta" è il mare: la soglia della casa di tutti. Respingere in mare aperto – come in modo drammatico e ripetuto avvenne per iniziativa italiana, a partire dalla primavera del 2009 nel Canale di Sicilia – e farlo senza minimamente preoccuparsi di identificare e capire chi c’è e perché sulle barche intercettate non si potrà più fare, e non si dovrà. È una bella e buona notizia (e vogliamo sperare che sia letta e accettata come tale in tutta Europa e dalla stragrande maggioranza dei nostri politici e dei nostri concittadini, e che nessun ricorso sia opposto alla deliberazione giudiziaria che l’ha generata). Una notizia ancora più bella e più buona perché, purtroppo, ci siamo disabituati a sentenze che allargano il cuore e che corrispondono con eloquente naturalezza al diritto fondamentale che sta scritto nel cuore degli uomini e delle donne di ogni tempo. Su Avvenire, in questi anni nei quali l’Italia dello sboom demografico si è misurata con crescente e impegnativa intensità con il fatto nuovo di una forte immigrazione dal Sud e dall’Est del mondo, abbiamo scritto molte volte – in sintonia con la voce della Chiesa, con gli appelli del Papa e dei vescovi – che accoglienza e legalità sono sorelle, che i flussi vanno governati dalle nazioni con umano e fermo senso delle regole e della giustizia ma, soprattutto, che nessun uomo e nessuna donna possono mai essere considerati "clandestini" sulla faccia della terra. Nessuno, mai. Un principio che vale sempre e per tutti, ma infinitamente di più per chi è in fuga, sradicato dalla propria terra da feroci conflitti, da fame e persecuzione. Per questo guardare in faccia, capire e riconoscere è fondamentale. È la regola.I lettori di Avvenire conoscono bene la storia terribile e vergognosa del traffico di persone e di organi umani che continua ad accadere nel Sinai egiziano. Ne sono vittime uomini, donne e bambini eritrei. L’abbiamo scoperta e raccontata, quella storia, e stiamo cercando – per quanto può un giornale – di farla finire, perché cominciammo a seguire le tracce degli eritrei respinti in mare al largo delle coste italiane e risospinti nel deserto dal quale erano venuti per cercare scampo dalla dittatura e dalla guerra. Ecco: respingere ciecamente chi bussa alla nostra porta significa anche essere alleati di tutti gli aguzzini del mondo. Ricordiamocelo.
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