sabato 12 settembre 2015
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La povertà di gioia che l’Europa e l’Occidente conoscono ormai da tempo, è conseguenza diretta dell’oblio della logica e della sapienza delle beatitudini. Le beatitudini incorporano ed esprimono tutti quei valori scartati e disprezzati dal capitalismo, e quindi dal nostro mondo sempre più costruito a immagine e somiglianza del dio business. Mitezza, costruzione di pace, povertà, misericordia, purezza, non sono le parole dell’economia capitalistica e della sua finanza, perché se le prendessimo sul serio dovremmo disfare i nostri imperi di sabbia e iniziare a edificare la casa dell’uomo delle beatitudini. Non a caso, in questi tragici e meravigliosi giorni di risveglio, inatteso e sorprendente, delle beatitudini in molta parte d’Europa, i grandi assenti sono le grandi imprese e le banche, che, con l’empatia senza compassione, continuano indifferenti e ignavi le loro produzioni e i loro riti, non aprono le porte delle loro "case", non sanno togliersi le scarpe per reimparare a camminare a piedi nudi. Come l’Adam, come i bambini, come i poveri. Purezza è la parola meno capita e amata dalla nostra civiltà dei consumi e della finanza. Eppure senza purezza il mondo non lo capiamo, perché vediamo soltanto le sue dimensioni più superficiali e ci sfugge la visione delle cose più belle. Vedendo poco e male, perdiamo l’enorme bellezza nascosta in ciò che appare come impuro e repellente. Nel Vangelo la purezza è strettamente legata al cuore e agli occhi: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio». Il cuore nell’umanesimo biblico esprime la natura profonda, spirituale e concreta della persona. Nella cultura ebraica e quindi in quella di Gesù e degli evangelisti, Dio però non si vede. È questa una delle verità più profonde e radicali dell’intera Bibbia, il centro della sua lotta contro ogni idolatria che adora dèi visibilissimi e quindi falsi. YHWH è una voce, che possiamo ascoltare tramite la parola dei profeti, che possiamo sentire palpitare viva nell’universo. La condizione che accomuna tutti gli umani e quella di ascoltatori non vedenti di Dio. Che cosa vede allora il puro se Dio non si vede? E che cosa è questa purezza nuova e diversa, la purezza del cuore? Per capirla, o almeno intuirne qualcosa, occorre ricordare che il mondo antico aveva una sua idea di puro e di impuro, che era alla base di tutto l’ordine sociale e religioso. Esistevano luoghi puri e luoghi impuri, persone, animali, mestieri, momenti, attività, oggetti puri e impuri e la società era costruita in modo da evitare le contaminazioni e proteggere la purezza dall’impurità. Tutta la gerarchia sacrale si spiegava in rapporto a questa sua funzione di separazione. Il messaggio cristiano operò un vero e proprio ribaltamento nella visione del puro e dell’impuro (già prefigurata da alcuni profeti e dal libro di Giobbe), proponendo una nuovissima idea di purezza che superava la categoria stessa di impurità. Ecco perché la purezza del cuore non è l’innocenza meravigliosa dei bambini, né quella degli animali e della natura. Queste purezze naturali erano la sorgente della purità sacrale delle comunità antiche, che dopo averla persa cercavano di ricostituirla sacrificando agli dèi animali, vegetali, vergini, bambini. Ma la separazione del puro dall’impuro, dei puri dagli impuri, era troppo radicata nel mondo perché questa rivoluzione del Vangelo potesse durare a lungo e generare una nuova civiltà. E così, anche nel cuore della cristianità abbiamo ricreato gli impuri e i lebbrosi, e abbiamo ricostruito mattone dopo mattone la stessa cultura dell’immunità (incontaminazione) pre-cristiana, che sta vivendo la sua apoteosi proprio nel nostro tempo apparentemente non religioso e secolarizzato, di cui le multinazionali sono i principali apostoli. La purezza del cuore è esattamente l’opposto dell’antica (e post-moderna) cultura del puro contrapposto all’impuro. Francesco nel suo testamento ci dice che la sua conversione iniziò veramente quando cominciò a frequentare i lebbrosi di Assisi, abbattendo così la cortina di separazione della purezza dall’impurità. La purezza del cuore non scappa dai lebbrosi. Va loro incontro, li cerca, li ama, li abbraccia, li bacia. La prima caratteristica di questa purezza è l’eliminazione del termine impuro dalle parole cattive, e pensare che è proprio ciò che chiamiamo impurità la via dove passa la vita vera. Allora il primo dono di occhi nuovi che il puro riceve è vedere un mondo diverso, da dove è scomparsa l’impurità. Per questa ragione un chiaro segnale che non ci troviamo in presenza di occhi di purezza è ritrovare la distinzione tra puri e impuri – per mettersi, ovviamente, dalla parte dei primi. Se è così, si capisce che una caratteristica generale che ritroviamo nelle persone pure di cuore è il non auto-definirsi pure. Crollata la barriera tra puro e impuro, la purezza diventa l’ambiente, ed essendoci dentro i puri di cuore non la vedono più. Questa eliminazione della cortina tra puro e impuro avviene in vari modi. Quasi sempre è un dono, qualche volta è un atto di liberazione che giunge in un determinato momento della vita. Ma sempre è un moto dell’anima che non è teso a conquistare la purezza, perché cercare direttamente la purezza è la via maestra per perdere quella che avevamo già e non lo sapevamo, e ritrovarci solo con la purità pagana. Anche per questa ragione, la purezza del cuore, come tutte le altre beatitudini, non può essere chiamata virtù, perché arriva senza cercarla. Quindi è la pura libertà e la felicità più profonda. È questa la prima purezza del puro: essere puro e non accorgersene, e quindi non potersi appropriare della sua purezza. È la purezza della purezza. Il puro di cuore poi non è riconosciuto come tale, perché questa purezza non si vede, e quando la vediamo è quella antica e pre-cristiana. Il mondo è popolato di puri di cuori, ma non siamo capaci di vederli, anche perché cerchiamo la purezza dove non c’è. Il puro si dovrebbe riconoscere da quello che riesce a vedere attorno a sé. Vede Dio. Ma se Dio non si vede, che cosa vede il puro? Vede, sente, una presenza d’infinito dentro di sé, che alcuni sentono e chiamano divina, e che molti altri vedono e sentono ugualmente ma non sanno chiamarla per nome. E la scorge anche nella natura, nel mondo, ovunque. Ma soprattutto la scorge negli altri, in tutti gli altri che incontra o che scopre nei libri, nella musica, nell’arte, nella poesia. Vede ogni uomo e ogni donna come un tabernacolo che custodisce una presenza, anche quando ha perso la chiave e la porticina rimane sempre chiusa. E così è attratto da ogni persona, è un innamorato della vita e ancor più della gente. L’amore del puro è tutto agape, ma è anche tutto eros e tutto philia. Vede che il mondo è veramente popolato di bellezza, e che la bellezza più grande è quella delle persone. E con gli occhi riesce a dirci: "Fanciulla alzati!". La purezza che ci guarda ha la capacità di resuscitare l’immagine divina che appare morta anche a noi, ma che in realtà stava solo dormendo mentre i parenti e gli amici piangevano per la sua morte. Ma il segnale inequivocabile che ci svela la presenza dei puri di cuore è vederli abbracciare e baciare i poveri e i lebbrosi. Questa purezza porta grandi frutti quando la troviamo in chi si trova a essere responsabile di una comunità o di una impresa. La leadership di chi è puro di cuore la si riconosce per quello che riesce a vedere negli altri. Uno dei doni più grandi che può farci la vita è metterci accanto colleghi e dirigenti puri di cuore. Il giogo della fatica diventa leggerissimo, e il lavoro fratello. Ma c’è ancora qualcosa di più, e forse di ancora più sublime. Se è vero che il puro di cuore vede Dio e se è vero che Dio sulla terra non si vede, allora il mondo è pieno di persone pure che vedono Dio non vedendolo, che non sanno che ciò che stanno vedendo è Dio perché non lo riconoscono. Dio c’è dove non c’è, dove neanche i puri di cuore riescono a vederlo. Questa è una notizia buonissima, che deve riempirci di speranza in questo tempo che appare come notte buissima di Dio. L’incontro con un puro di cuore è spesso l’incontro decisivo della vita. Grazie a quegli occhi che ci guardano diversamente riusciamo, fosse anche solo per un attimo, a connetterci con la parte più profonda e vera di noi; e sentendoci guardati così, ci sboccia dentro il desiderio di diventare ciò che eravamo già, ma non lo sapevamo ancora, o semplicemente di tornare a casa. In questi incroci di occhi rivive qualcosa di quel primo sguardo buono di donna che ci ha accolti venendo al mondo, e che continuiamo a cercare per tutta la vita. La presenza di questi occhi è una forma di bene comune preziosissimo, che mantengono vivo lo sguardo di Elohim sulla terra, che continuano l’azione di quegli occhi che nelle strade della Palestina cambiarono il mondo guardandolo in un altro modo: «E guardatolo, lo amò». La purezza, come tutte le realtà della terra, si può perdere. Anche il puro di cuore può smarrire il suo sguardo. E l’unico vero segnale che ci dice che abbiamo perso la purezza è il non vedere più negli altri, nel mondo e dentro di noi una presenza d’infinito, e quindi smettere di essere innamorati di tutto e incantati per tutto. Ma, come tutte le realtà spirituali, la purezza del cuore si può ritrovare: puri si può ritornare. Si può ritornare perché troppo grande è la nostalgia di quel Dio che avevamo visto-non-vedendolo dentro e intorno a noi. E il primo segno che sta tornando è desiderarla di nuovo e, ancora di più, tornare a baciare poveri e lebbrosi. Una esistenza fiorita e beata è un lungo cammino per ritrovare da vecchi la purezza dell’infanzia trasformata in purezza del cuore. «Beati i puri di cuore, vedranno Dio». l.bruni@lumsa.it
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