La profilassi e la terapia devono essere per tutti
venerdì 30 aprile 2021

I dati sulle vaccinazioni anti-Covid nel mondo, analizzati da Max Roser del Global Change Data Lab insieme ai ricercatori del Programma sullo sviluppo globale (Università di Oxford), sono inesorabili. A metà aprile ancora nessun vaccino è pubblicamente distribuito alle popolazioni di 8 Stati africani, uno latinoamericano e uno asiatico, senza considerare varie isole pacifiche. Specie in Africa, poi, anche dove la somministrazione è cominciata, questa è solo simbolica. Si tratta di Paesi tra i più poveri e con scarse risorse sanitarie.

Per contro, negli Stati europei, americani e oceanici e nelle nazioni asiatiche più sviluppate, la profilassi vaccinale è già accessibile a tutti o quasi i gruppi di soggetti vulnerabili e ad altre categorie di cittadini. Quanto alla percentuale di vaccinati, in Gabon, Guinea, Namibia, Tunisia e Zimbabwe meno dello 0,3-0,5% della popolazione è stata sinora immunizzata, a fronte del 58,7% degli israeliani che hanno già ricevuto una vaccinazione completa, del 33,8% dei cileni, del 29,3% degli statunitensi, del 20,1% degli inglesi e del 9,2% degli italiani. La velocità di crescita del numero di inoculati rivela che il divario nelle disponibilità tra Paesi poveri e ricchi non mostra una inversione di tendenza: in tre mesi e mezzo, l’incremento nel numero di dosi somministrate ogni 100 abitanti è stato di oltre 70 negli Stati Uniti e nel Regno Unito, superiore a 30 in Canada, Francia, Spagna e Italia e di circa 15 in Cina, Russia e Brasile. Nei Paesi africani che stanno “attivamente” vaccinando, l’incremento è del 0,5-3% rispetto all’inizio della campagna di immunizzazione. L’accessibilità di tutti e in ogni parte del mondo, anche nei Paesi più poveri e con ridotte strutture sanitarie, alle risorse mediche per contrastare la pandemia Covid-19 è una questione grave non solo per la giustizia nella allocazione delle risorse, la pari dignità umana e i diritti dei popoli e delle nazioni, ma anche per una campagna efficiente e risolutiva (a livello globale) contro la malattia contagiosa. Di fronte ad un disastro sanitario di queste proporzioni e alla rapidità con cui l’infezione si diffonde superando ogni confine, «nessuno si salva da solo», ha ripetuto più volte papa Francesco.

Con lui l’hanno detto e ripetuto numerose autorità civili, religiose, scientifiche e mediche, a partire dall’Onu e dall’Oms. Non esisteranno aree, isole o Paesi “Covid-free” – al sicuro da successive ondate o code pandemiche – finché vi saranno regioni o Continenti “ Covid-risky”. Se su questo principio tutti concordano, sul come agire di conseguenza e superare gli ostacoli le strade possibili sono diverse. La posizione maggiormente realistica e ragionevole è percorrerne più di una al medesimo tempo e con investimenti comparabili, senza trascurare opportunità e diversificazioni legate a situazioni differenti tra Paesi ricchi e sanitariamente ben organizzati e Paesi poveri con scarsità di strutture e personale medico- infermieristico. Puntare tutto o quasi su un unico approccio al contrasto della pandemia – per lo più “Occidentale-centrico” – può risultare perdente qualora si incontrino ostacoli praticamente insuperabili in tempi utili. Se la “vaccinazione di massa” sta incontrando difficoltà, in Italia e altri Paesi occidentali, in relazione alla reperibilità-disponibilità di dosi e alla complessa macchina organizzativa, ancor più questo accade in nazioni con potere economicocontrattuale, capacità logistica e strutture e personale sanitario maggiormente inadeguati. Il vaccino è maggiormente “delicato” e complesso da produrre, commercializzare, distribuire, conservare e somministrare rispetto ad altri farmaci, la cui caratteristiche chimico-fisiche li rendono più “robusti” e utilizzabili anche in condizioni non ottimali. Inoltre, se è vero che il prezzo di alcuni tipi di vaccino anti- Covid è molto ridotto e addirittura inferiore a quello di determinati farmaci, i costi materiali, strutturali e di personale per la sua distribuzione e inoculazione sono più impegnativi.

Vaccini per la profilassi e farmaci per la terapia del Covid: non gli uni senza gli altri. Tantomeno gli uni contrapposti agli altri. E questo è ancor più importante per un accesso davvero globale – per tutti i popoli – al contrasto della pandemia. Si è osservato uno sbilanciamento degli studi (in particolare quelli clinici) a favore dei vaccini, dopo un iniziale maggior impegno della ricerca sul fronte degli antivirali e dei farmaci per la prevenzione precoce dell’insorgenza delle complicanze gravi della infezione. È auspicabile che questo divario venga colmato rapidamente a favore di tutti, in modo particolare delle regioni più povere e prive di assistenza sanitaria sviluppata. Se l’approccio profilattico vaccinale non dovesse risultare sufficientemente tempestivo e determinante per contenere la pandemia anche in questi Paesi, tuttavia non può e non deve venir meno una terapia accessibile a tutti i loro abitanti per diminuire il pesante impatto del Covid-19 sulle condizioni di vita.

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