mercoledì 5 marzo 2014
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Stendere un recinto di regole chiare e rispettate attorno alla vita e alla salute non è un capriccio ma una necessità. E per lo Stato un dovere. Per questo suona del tutto stonata il progetto della Regione Toscana di affiancare alla somministrazione della Ru486 in ospedale anche l’assunzione in poliambulatori, facendo carta straccia delle regole fissate dall’Agenzia del farmaco cinque anni fa (e pubblicate in Gazzetta Ufficiale) come condizione per distribuire anche in Italia la pillola abortiva e ricorrere all’aborto chimico come alternativa a quello chirurgico. E dunque niente ricovero ordinario per poter completare la procedura abortiva all’interno di un ospedale pubblico o di una struttura attrezzata in modo equivalente, così come prescrive la legge 194 (dichiarata intoccabile solo quando suona bene, evidentemente). Al Consiglio sanitario regionale, organismo tecnico consultivo dell’assessorato regionale alla Sanità, devono aver pensato che occorre facilitare il più possibile il ricorso alla pillola abortiva ritenendolo un servizio alle donne, o più banalmente un risparmio per le casse regionali. Senza contare la violazione della legge, che da sola basterebbe a giustificare un sollecito dietrofront, dentro questa convinzione c’è però un vistoso deragliamento, che stupisce non venga colto da chi pure dice di schierarsi dalla parte delle donne in un passaggio doloroso della loro vita, quando non drammatico. Dalla fecondazione artificiale all’aborto, il febbrile lavorìo per smantellare regole di minima garanzia scambiate per ostacoli a presunti diritti – quando invece si tratta delle tutele di un bene riconosciuto (almeno in parte) per legge – sembra avere come denominatore comune l’esaltazione dell’insindacabile scelta del singolo, come se la società non fosse più una comunità di persone ma una somma di solitudini. Questo liberismo individualista incoraggiato da qualche istituzione ha come effetto paradossale e raggelante l’emarginazione della donna, sola col suo aborto, sola proprio mentre avrebbe bisogno di chi la consiglia, la sostiene, la abbraccia, sola con un’emorragia che si consuma dove capita, in ufficio, per strada, in autobus, dovunque tranne che nel posto dove dovrebbe accadere, cioè in ospedale. Sarebbe questo l’approdo del femminismo, il compimento del suo ideale? A noi sembra sia nient’altro che una crudeltà. Alla quale porre immediato riparo, con tante scuse alle donne.
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