La «pedagogia nera» e la sua alternativa
martedì 26 febbraio 2019

Quali messaggi sono sottesi a certi gesti, quali valori o disvalori vengono così veicolati in particolare ai più giovani? E quali possono esserne le conseguenze sullo sviluppo della loro personalità? «Che sia in galera un imprenditore che si è difeso e sia fuori un rapinatore in attesa di un risarcimento dei danni significa che bisogna cambiare le leggi. Cercheremo di fare di tutto perché stia in galera il meno possibile».

Sono state le prime parole del ministro dell’Interno Salvini all’uscita dal carcere di Piacenza, sabato 23 febbraio, dove è andato a esprimere la sua solidarietà ad Angelo Peveri un imprenditore condannato in via definitiva perché, con un dipendente, una notte del 2011 ha immobilizzato, sparato e ferito gravemente una persona ormai inerme, un cittadino europeo, un romeno residente in Italia, che aveva cercato di rubare del gasolio da un escavatore della sua ditta, più volte presa di mira dai ladri. Per Salvini un caso di legittima difesa. Per i giudici (ma anche secondo le ricostruzioni balistiche) il tentativo di farsi giustizia da sé. Per questa ragione, Angelo Peveri dovrà scontare 4 anni e mezzo di carcere (l’accusa è di tentato omicidio).

E il ministro dell’Interno non ci sta. Non c’è da stupirsi. Fatto salvo che non sono certo io a sostenere la detenzione come giusta punizione, non voglio neppure che sia difeso il diritto di uccidere. È solo l’ultimo episodio che vede Matteo Salvini affermare uno stile, una visione del mondo, che va ben oltre una generica linea politica e si concretizza, nei gesti, nel linguaggio perfino nell’abbigliamento, in una vera e propria pedagogia nera. Quella descritta dalla psicoanalista svizzera Alice Miller in saggi come 'La persecuzione del bambino', una pedagogia basata sulla paura e sulla mortificazione, che infonde nei bambini il senso della loro colpevolezza e cattiveria, li rende fragili, dipendenti.

Una pedagogia della paura perché questa è la linea politica: paura del diverso, dello straniero, di chi ha la pelle nera; bisogno di possedere e usare un’arma, chiusura dei porti ai poveracci e dei centri di accoglienza ai senza potere: sono tutte diverse declinazioni di quest’unica, perversa, pedagogia che, purtroppo, sta avendo molta presa sulle giovani generazioni. Ecco perché noi adulti dobbiamo fermarci a riflettere sul fatto che considerare le armi 'la base della sicurezza' o ritenere un 'diritto' quello di uccidere un ladro, sono due convinzioni che ci fanno precipitare indietro nel tempo, ci fanno tornare dritti all’epoca dei duelli. Generando mancanza di lucidità e di pensiero critico. Non solo. Si tratta di una visione che affonda le sue radici nella più retriva cultura patriarcale, maschilista, dispotica.

Non a caso diversi esponenti del partito di Salvini si sono distinti per le loro dichiarazioni sessiste, anch’esse figlie di questa stessa mentalità, che rifugge dalle differenze e che, per sostenersi, ha bisogno di trovare sempre nuovi nemici. Gli stranieri, quelli con la pelle nera, i romeni, i cinesi, le donne, i rom, gli omosessuali e così via. Matteo Salvini, che stupido non è, ricorre a questa filosofia perché sa che la caccia al nemico è un tema forte, che unisce, compatta. E attira gli elettori. Purtroppo, però, rischia anche di segnare le menti dei più giovani, ragazze e ragazzi che stanno crescendo, quindi meno strutturati e, per via dell’età, già fisiologicamente propensi a vedere le cose in modo un po’ estremo, 'bianco o nero'. Salvini semplifica, e le semplificazioni piacciono, un po’ come nei videogiochi, dove è sempre molto chiaro chi sono quelli da distruggere.

Oggi, nel nostro panorama politico, sono stati via via sdoganati i peggiori comportamenti della natura umana, ci si fa vanto di sparare sentenze a raffica, di attaccare questo o quello, di 'cantarle chiare', urlare, aggredire. Ripeto: è una pedagogia nera, contro la quale opporsi con forza. Come? Non con un eccesso di mitezza. Ma opponendo resistenza, rigore civile e morale, e aiutando le giovani generazioni a cogliere le sfide del nostro tempo, anziché averne paura. Contribuendo tutti a una società in cui si parlano più lingue, dove culture diverse entrano in contatto e si mescolano dando origine a nuove espressioni culturali, dove possano convivere religioni diverse, nel rispetto delle donne e dei bambini. I giovani non devono avere paura del futuro.

E non devono temere i conflitti, che sempre si generano nell’incontro tra diversi. Educatori, genitori, e insegnanti possono contrapporre al pensiero unico della pedagogia nera la capacità di gestire le contrarietà e viverle come sfide, opportunità, occasioni di crescita, apprendimento e felicità. In una parola, dobbiamo sforzarci di imparare, tutti insieme, una nuova cittadinanza.

Pedagogista

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