martedì 4 febbraio 2025
Gli ottant'anni della carta dell'Onu occasione per una riforma dell'organismo, ancorato al modello decisionale del 1945 quando ne facevano parte 51 nazioni. Oggi sono 193
La storica sede delle Nazioni Unite

La storica sede delle Nazioni Unite - Imagoeconomica

COMMENTA E CONDIVIDI

Non può essere più esplicito, papa Francesco, avendolo ripetuto così tante volte: «Siamo vicini a una guerra mondiale, i governanti sappiano assumersi la responsabilità e l’onere della pace». Il contesto attuale è inquadrato nel parallelismo con gli anni Venti e Trenta dello scorso secolo: la crisi delle idee liberali e democratiche, cui aveva dato un contributo il pensiero cristiano democratico di don Luigi Sturzo, segnò quel primo Novecento in cui si è ceduto ai nazionalismi e ai totalitarismi. Fu il tempo dell’appeasement irresponsabile dell’Europa di fronte alle pretese di Hitler: ne derivò la catastrofe della Seconda guerra mondiale. Solo alla fine del conflitto le potenze vincitrici superarono i divari ideologici per compiere una svolta epocale: iniziò il percorso che avrebbe portato alla Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945), al Tribunale di Norimberga (1945-196), alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948), e alle Convenzioni di Ginevra sulla protezione dei feriti, dei malati, dei naufraghi, dei prigionieri di guerra e della popolazione civile (12 agosto 1949).
Eppure, oggi si indugia in una visione pessimistica del diritto internazionale rappresentato da quella fase fondativa. Anne-Cécile Robert in Le défi de la paix (La sfida della pace) ne coglie le ragioni: i leader e i diplomatici di oggi, «spesso privi di cultura storica», rimangono concentrati sulle emergenze attuali, dimostrando scarsa consapevolezza della validità di un percorso storico e giuridico: la costruzione politica e giuridica dei diritti umani (la stessa Unione Europea ne è un esempio), le soluzioni a guerre dimenticate, gli scambi dei prigionieri di guerra, i vaccini e gli aiuti umanitari per le popolazioni inermi, e dopo tutto anche 80 anni con l’assenza di grandi conflitti globali. Di fronte alle crisi l’Onu (e le istituzioni collegate come la Corte internazionale di giustizia) ha indicato la strada: nonostante i veti della Russia, l’Assemblea generale ha chiesto il cessate il fuoco e dichiarato illegittima l’aggressione all’Ucraina, e pur con il veto Usa, la condanna non è mancata per Israele quando ha abusato nel suo diritto di difesa. L’impegno e l’azione dell’Onu, dunque, non sono mancati: sono gli Stati ad avere rinunciato al multilateralismo e alla funzione di far rispettare le Risoluzioni per imporre la pace.
Il Vertice del Futuro svoltosi all’Onu nello scorso autunno ha rilanciato la sfida: se si vogliono ripristinare le condizioni per un «ordine internazionale» capace di fermare le guerre occorre ripartire dalla riforma delle Nazioni Unite. Il Segretario Generale António Guterres ha rimarcato che il Consiglio di Sicurezza è «bloccato in una distorsione temporale»: vi domina il potere di veto dei P5, i cinque membri permanenti ancora rappresentati da Usa, Cina, Federazione Russa, Gran Bretagna e Francia. L’Onu è fermo al modello decisionale del 1945, in cui c’erano 51 nazioni. Oggi ne fanno parte 193 Stati, e non c’è un seggio permanente per l’India, il paese più popolato al mondo con 1, 428 milioni di abitanti, il Giappone e la Germania che hanno economie e popolazioni più grandi di Gran Bretagna e Francia. Gli Stati Uniti sostengono l’estensione dei seggi permanenti a questi Paesi, come per l’Africa, l’America Latina, i Caraibi, rappresentati da organizzazioni regionali o leader designati a rotazione. È la risposta a Russia e Cina che propagandano il loro “ordine mondiale multipolare” alimentando il risentimento anticoloniale del Global South. Per evitare la paralisi definitiva dell’Onu, sarebbe escluso il potere di veto per i nuovi membri permanenti. Uniting for Consensus è la proposta dell’Italia + 11 (Argentina, Canada, Colombia, Costa Rica, Italia, Malta, Messico, Pakistan, Corea, San Marino, Spagna, Turchia): si punta ad un allargamento del Consiglio con rappresentanti di Gruppi regionali, tra cui l’Unione Europea, presenze di lunga durata e rielezione immediata (in atto i membri non permanenti hanno mandati per due anni, non immediatamente rieleggibili). Occorrerebbero però soluzioni radicali: l’astensione dal veto per chi è parte in causa (come la Russia, per l’aggressione all’Ucraina) e il riconoscimento del valore vincolante delle Risoluzioni approvate a maggioranza qualificata dalla Assemblea Generale, sulla base della risoluzione Uniting for Peace (Uniti per la pace) adottata nel 1950 per la Corea. Il disordine globale impone di affrontare questo percorso: è ancora attuale il monito di Hans Kelsen: “Pace attraverso il Diritto” è il titolo del saggio apparso nel 1944 che anticipava i principi delle Nazioni Unite. L’80° anniversario della Carta Onu, che ricorre quest’anno, è l’occasione per riparlarne con più convinzione.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: