martedì 6 marzo 2018
Centrodestra trainato dalla Lega al settentrione, M5S in meridione
La nuova Italia in giallo-blu, Nord e Sud divisi (soprattutto) tra due poli
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È chiaro chi avanza: M5s, che diventa il primo partito; la Lega che risolve a proprio favore il 'derby' con Fi; e lo stesso centrodestra, che si piazza al primo posto tra le coalizioni ed è complessivamente superiore anche ai pentastellati. È altrettanto chiaro chi perde: Renzi (che ieri si è dimesso, senza in realtà lasciare, da segretario del partito) e il Pd, abbondantemente sotto la soglia 'psicologica' del 20 per cento; Berlusconi e Fi, che cedono la leadership del centrodestra a Salvini; e Leu che a stento supera lo sbarramento del 3 per cento. Ma non è affatto chiaro chi vince.

Anzi, dato che nessuno dei partiti o delle coalizioni in lizza ha raggiunto il 40 per cento, il rischio concreto è che a perdere sia il Paese nella sua totalità (tra l’altro spezzato a metà: nord al centrodestra, sud a M5s), dato che dalle urne, al posto di un qualsiasi governo, è emerso con forza solo il fantasma della ingovernabilità. È questa in sintesi la fotografia del voto del 4 marzo 2018. Con l’ulteriore considerazione – come si evince sommando i voti di Lega e grillini – che sono le forze politiche più critiche verso l’Europa (ieri Salvini ne ha dato conferma con le sue dichiarazioni sulla moneta unica) ad avere oggi in Italia la maggioranza assoluta. E con l’aggiunta del risultato delle Regioni Lombardia e Lazio, dove prevalgono i favoriti della vigilia – Fontana e Zingaretti rispettivamente – anche se l’affermazione di quest’ultimo sullo sfidante Parisi è stata più risicata del previsto.

Le sorprese cominciano fin dai dati sui votanti. Si sfiora il 73 per cento (72,99) e quindi viene scongiurata la previsione di un astensionismo massiccio, anche se è l’affluenza più bassa per le politiche dal 1948 ad oggi. Si prosegue con gli exit poll e le proiezioni (che anticipano tutte le tendenze poi confermate in sede di conta effettiva delle schede).

E si conclude con i dati definitivi che per quanto riguarda la Camera vedono i pentastellati attestarsi al 32,64, il Pd al 18,71 e la coalizione di centrodestra raccogliere complessivamente il 37,07, frutto della somma tra Lega (17,39), Forza Italia (14,02), Fratelli d’Italia (4,35) e Noi con l’Italia (1,31).

Dall’altra parte la coalizione di centrosinistra si ferma al 22,81%, con i Dem al 18,71 e gli altri partiti che non raggiungono la soglia del 3 per cento: +Europa (2,55), Italia Europa Insieme (0,60), Svp-Patt (0,41) e Civica Popolare dell’ex ministra alla Salute Lorenzin (0,54).

Liberi e Uguali, invece, supera di poco la soglia e tocca il 3,38. Più o meno simile la situazione al Senato, poiché anche per Palazzo Madama il M5S è la forza più votata, con il 32,18 per cento dei consensi. Il Pd si è fermato al 19,13% e l’intera coalizione di centrosinistra ha sfiorato il 23 per cento (22,97).

Scarso l’apporto delle altre liste: +Europa non va oltre il 2,36, Italia Europa Insieme è allo 0,54, la lista Civica Popolare Lorenzin allo 0,52 e l’Svp allo 0,42.

Il risultato del centrodestra parla invece di un 37,54, con la Lega anche in questo caso prevalente su Forza Italia (17,64 contro 14,44), Fratelli d’Italia al 4,26 e Noi con l’Italia Udc all’1,20. In linea con quello della Camera, è deludente anche al Senato il raccolto di Liberi e Uguali: solo il 3,27. Infine, al di fuori delle coalizioni, vanno ricordati anche i risultati di Potere al Popolo (di poco sopra l’1 per cento in entrambi i rami del Parlamento), Casapound (poco sotto) e del Popolo della famiglia (intorno allo 0,7). Al momento, tradotti in termini di seggi, questi numeri significano che alla Camera la coalizione di centrosinistra ne potrebbe avere tra 115 e 127, M5s tra 228 e 235 e il centrodestra tra 252 e 267.

Ma a Montecitorio la maggioranza è di 315 su 630 deputati, dunque nessuno dei tre poli può da solo arrivare al 50 per cento più uno. Al Senato il centrodestra è più vicino a questa soglia: 134 o 135 seggi contro i 158 della maggioranza assoluta richiesta, con M5s a quota 114 e il centrosinistra tra 51 e 59. Ma ugualmente il traguardo resta lontano senza apparentamenti che per ora tutti sembrano escludere. Resta il dato di un territorio nazionale nettamente diviso in due, con il nord appannaggio di Fi, Lega e alleati e il sud (isole comprese) terreno di conquista del Movimento 5 Stelle. Pd e centrosinistra resistono solo in alcune 'fortezze' dell’Italia Centrale ( Toscana, unica regione dove i dem sono rimasti primo partito, ed Emilia soprattutto, ma l’Umbria tradizionalmente rossa è passata al centrodestra) ed in quartieri di metropoli come Roma, Milano e Torino. Impressionanti soprattutto alcuni 'cappotti' realizzati dai pentastellati nel Mezzogiorno: 28 a 0 nei collegi uninominali della Sicilia, ad esempio.

Nove a 0 anche in Sardegna. E in Calabria, Basilicata, Puglia e Campania il partito di Di Maio ha superato nettamente il 40 per cento. In pratica, alla Camera solo i seggi di Gioia Tauro e Vibo Valentia, in Calabria, e di Agropoli in Campania sono andati al centrodestra impedendo così l’en plein pentastellato in tutti i collegi uninominali del Meridione. Anche se con un diverso sistema di voto (il proporzionale), solo la Dc degli anni ’60 era stata in grado di fare altrettanto. Un’affermazione, che secondo l’analisi dei flussi di voto i grillini avrebbero realizzato soprattutto a scapito del Partito Democratico, oltre che recuperando chi non aveva votato alle precedenti politiche. Ma potrebbe essere tutto inutile. Perché nessuno ha la maggioranza. E ora la palla passa al Quirinale, al quale anche dall’Europa si guarda «con fiducia».

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