giovedì 21 novembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Quando si parla di noi sardi, il termine più usato è spesso "testardi". E non sempre con un significato positivo. "Testardi" talvolta, così può apparire, anche nella rassegnazione, quella rassegnazione tipica di chi ha scoperto che le scelte – regionali e nazionali – non sono riuscite ad esempio ad affrontare e risolvere un problema come l’insularità; tema che da geografico è divenuto sempre più politico e sociale."Testardi" anche nel subire, quindi, una serie di "maledizioni" che assomigliano a un nastro che intona sempre lo stesso ritornello. Quello della crisi. "Vi mancava anche questa!", è il commento non detto (e non scritto) di molti servizi televisivi e non solo, in questi giorni di calamità. E c’è davvero un elenco interminabile di dati poco rassicuranti: il lavoro che non c’è, un’economia che continua a pagare scelte incaute e sbagliate, un turismo che non è ancora decisivo per rilanciarci, un sistema fiscale penalizzante, una classe politica debole anche moralmente. E si potrebbe continuare. Con queste caratteristiche la Sardegna sembra alimentare, anche nei suoi abitanti, più rammarico che futuro, più note dolenti che speranze.Il colpo ricevuto in questi giorni è forte. Brutale come l’acqua che si trasforma in fango, micidiale come un fiume che si trasforma in un cimitero. Anche le difese umane sono state vinte dalla mostruosità di una forza invincibile e tremenda. L’immagine di un bambino che perde la vita insieme a suo padre, quando tutt’intorno tutto crolla, è il racconto non solo di un abbraccio, ma anche di una "consegna" senza alternative alla furia della natura.Questo sguardo, è vero, invita alla delusione, oltre che alla commozione e al dolore. Ma è proprio ora, davanti a quello che accade inopinatamente e non senza responsabilità dell’uomo che la testardaggine di noi sardi sa riemergere prepotentemente. Non solo dicendo "basta!" a incurie e deturpamento dell’ambiente, ma anche ricominciando ad amare – di più, molto di più – tutto quello che ci appartiene: la terra insieme alle persone e il futuro insieme alla speranza. La nostra caparbietà, che talvolta rimane quasi velata per eccesso di discrezione, è la nostra carta da giocare. Fino in fondo. Mentre chi ci osserva si chiede, ancora una volta: "Adesso cosa faranno?", noi sappiamo che la risposta, oggi più che mai, l’abbiamo già scritta nella nostra storia. Si tratta di rileggerla, così come si fa quando si vuole recuperare dalla memoria le pagine migliori. C’è scritto che le nostre risorse – comprese quelle che vengono da una fede granitica – non si esauriscono di fronte al male, qualunque sia il modo con il quale esso ci viene incontro. C’è anche scritto che siamo così sfrontati e generosi nel bene che sapremo ancora una volta risuscitare la fiducia nella vita.Ecco perché la nostra testardaggine, più che un luogo comune, è la nostra forza. E anche stavolta più di altre volte riprenderemo a credere che non è importante solo quello che finisce ma soprattutto quello che incomincia.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: