giovedì 29 maggio 2014
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«Ci hanno rubato anche le parole, le hanno svuotate. Legalità, antimafia: chi – a parole – non è d’accordo? Ma poi i fatti ci dicono il contrario». Più volte negli ultimi mesi don Luigi Ciotti ha lanciato questo duro allarme. Come non essere d’accordo col presidente di Libera. Ancor di più dopo quanto accaduto nei giorni scorsi. Il voto domenica in 18 Comuni sciolti per mafia e ieri le prime dichiarazioni del boss camorrista Antonio Iovine ’o ninno, che ha tirato in ballo politici di ogni colore: «Per noi, non c’era differenza». E ha raccontato di accordi su appalti e mazzette che ancora vanno avanti.Il 23 maggio l’Italia intera ha ricordato la strage di Capaci. Tante parole. Da tutti. Antimafia, legalità, trasparenza, pulizia, giustizia... Ricordi, commozione.Giusto, la memoria è primo e fondamentale strumento per combattere e vincere le mafie. Ma senza l’impegno concreto resta una memoria sterile e anche falsa. Controprova, domenica, col voto nei Comuni sciolti per mafia. Un appuntamento importante trascurato da gran parte dell’informazione e della politica. «Un segno di speranza, sicuramente positivo per la democrazia. Ma vigileremo perché avvenga nella legalità», aveva detto a questo giornale il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti quasi anticipando quanto poi accaduto. Già perché nel silenzio totale degli osservatori e degli informatori, tutti presi dal voto europeo o tutt’al più delle regioni e dei grandi centri urbani, in molte di queste località sono stati rieletti sindaci e consiglieri già presenti nelle amministrazioni sciolte per mafia, o legati a quel mondo.Un gran brutto segnale. La politica, quella dei fatti che toccano i cittadini, comincia dai territori, soprattutto da quelli più difficili e a rischio. Le mafie lo sanno e lo fanno, mantenendo saldi i piedi nei piccoli centri dell’Aspromonte o nei paesoni del Casertano, pur con la testa imprenditoriale ormai impegnata altrove, nel mondo. Per questo continuano a condizionare il voto, per questo non mollano il controllo dei "loro" territori. Ne è riprova l’altissimo numero di Comuni commissariati per mafia, ben 30 in questo momento oltre ai 18 tornati al voto. Ma anche l’aumento delle intimidazioni nei confronti delle amministrazioni comunali, circa una al giorno, come ha denunciato l’ultimo rapporto di "Avviso pubblico". E la campagna elettorale, fino agli ultimi giorni è stata costellata di incendi, danneggiamenti, minacce, soprattutto nei confronti dei sindaci più impegnati, non solo a parole, sul fronte della legalità.Ieri sono arrivate le parole di Iovine, proprio dall’interno del "sistema". E il governo vuole correre ai ripari, come hanno annunciato su queste pagine il ministro per gli Affari regionali, Maria Carmela Lanzetta e il vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico. Entro giugno il Consiglio dei ministri approverà la norma per rendere più efficace lo strumento dello scioglimento per mafia e per bloccare il ritorno dei sindaci collusi. «Una svolta totale per convincere i cittadini che senza mafie le cose vanno meglio», hanno spiegato i due ministri. Bene e noi seguiremo con molta attenzione l’iter della legge. Soprattutto perché ci siano fatti reali e non rituali parole. Ma non può bastare, come non può bastare l’intervento della magistratura che quando arresta sindaci e assessori, e questo è avvenuto in molti dei Comuni sciolti, arriva «comunque tardi, mentre servirebbe un’azione preventiva della politica» come ci diceva pochi giorni fa Federico Cafiero de Raho, procuratore di Reggio Calabria, il primo capoluogo sciolto per mafia.Serve altro, serve davvero una buona politica. Scuola e lavoro, servizi ed efficienza, fondi ben spesi e non sprecati o lasciati finire in tasca a mafiosi e politici collusi, come racconta ’o ninno. Solo così si toglierà quest’arma  dalle mani dei boss, l’arma a doppia lama che risponde coi "favori" alla richiesta di "diritti" da parte della gente. E così, soprattutto, si darà fiducia ai cittadini. Non parole, ma fatti.

Quei fatti che sono mancati a Platì, simbolo della ’ndrangheta aspromontana, dove il voto è stato annullato perché alle urne sono andati solo 900 elettori su 4mila. Tanto il clan governa comunque... Quelli che sono mancati nei Comuni del Vibonese, del Reggino, del Casertano e del Salernitano, dove sono stati rieletti amministratori dei vecchi consigli sciolti.In questi giorni sono arrivate in redazione molte segnalazioni sull’attivismo mafioso durante il voto, e siamo certi che forze dell’ordine e magistratura interverranno. E però, lo ripetiamo, serve di più. Bene le nuove norme, ma governo e partiti si impegnino davvero per togliere alle mafie il potere sui territori, per ridare vero significato alle parole "voto" e "libertà". Impossibile? No. Proprio da uno dei paesi tornati allle urne domenica, Casal di Principe, simbolo di un feroce potere camorristico, quello del clan di Iovine, è giunto un segnale importante. Grande affluenza e due liste al ballottagio che rappresentano il cambiamento "dal basso". Spazio ai cittadini delle terre di don Peppe Diana, spazio ai veri casalesi e non a chi ha usurpato per decenni quel nome col sostegno della malapolitica. Si può, dunque. I cittadini aspettano che dopo tante parole svuotate di senso si passi ai fatti.

 

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