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Il Green pass altro non è che uno strumento per 'promuovere' la vaccinazione di massa. Il problema è comprenderne il significato. Si tratta di un semplice incentivo? Oppure di qualcosa di più cogente che approssima l’obbligatorietà? Dipende ovviamente dalla posta in gioco; se il premio è una caramella, o una ciambella come Krispy Kreme qui in America regala a ogni vaccinato per colazione (e per tutto l’anno), siamo nel mondo degli incentivi. Se invece diventa un lasciapassare per lavorare, quella promozione assumerebbe un carattere più coercitivo, soprattutto quando l’alternativa alla vaccinazione è il test obbligatorio periodico, il cui costo (pecuniario e di tempo-opportunità) non è trascurabile. Il problema è dunque comprendere la compatibilità di questo meccanismo con la difesa morale e giuridica che i no-pass antepongono a giustificazione della loro protesta: la loro libertà. Libertà, una parola meravigliosa e al contempo misteriosa. Abbiamo cercato di riesaminare le varie declinazioni di libertà nella storia del pensiero per trovarne una – che fosse soltanto una – a difesa delle ragioni dei 'disobbedienti'. Non ci siamo riusciti. Ma procediamo con ordine.
Nella concezione degli antichi – ogni riferimento a Benjamin Constant è voluto – libertà significa assenza di turbamenti interni. L’individuo vittima delle proprie passioni, privo di autodisciplina, acratico appunto, non è libero. Per i greci la libertà non era separabile dalla razionalità. Ne consegue che l’esercizio della libertà si risolve in un processo rigoroso di deliberazione interna ( phronesis o saggezza pratica) in condizioni ideali. Se, per ipotesi, il piano delle nostre scelte possibili collassasse in un solo punto, potremo ancora dirci liberi purché quel punto rappresentasse l’unica scelta corretta. Per il pensiero antico, dunque, saremmo liberi anche di fronte all’obbligatorietà vaccinale. Fermandoci solo all’estetica dei comportamenti e all’apparato di suggestioni scomposte che i no-pass portano nel dibattito pubblico, ci sentiremmo di dire che la libertà da loro proposta non è quella degli antichi.
La libertà nel senso moderno assume invece un significato più politico, o se si preferisce negativo, spostando l’asse del concetto dalle costrizioni interne dell’individuo a quelle esterne. La libertà è quindi la capacità di scegliere tra un ventaglio di opzioni possibili, senza che forze esterne – come un governo – ne condizionino o addirittura ne coartino la decisione. Per inciso, questa è la libertà da sempre osteggiata da chi considera la società come un qualcosa di organicamente diverso e non riducibile agli individui solamente, come il fascismo appunto. Ma anche i fascisti, di ritorno da Marte, evidentemente sono cambiati. Tuttavia, anche volendo rimanere nel solco del pensiero esclusivamente liberale è difficile, se non impossibile, trovare una rappresentazione della libertà idonea a giustificare il 'gran rifiuto' dei disobbedienti.
Ci sarebbero infatti delle ragioni che sono libertà-dipendenti per restringere la libertà, proprio a difesa della libertà stessa. Non è un paradosso! Questo accade quando si rischia che le nostre scelte non siano adeguatamente informate oppure viziate nella struttura profonda dei processi cognitivi. Vizi e distorsioni che ancora una volta abbiamo visto con i nostri occhi, durante i fatti violenti di Roma del 9 ottobre 2021, quando quell’umanità arrabbiata e sofferente diceva 'gli italiani liberi vanno ad assediare la Cgil'. Così John Stuart Mill, che presume la libertà come condizione naturale, descrive i casi in cui questa presunzione possa essere legittimamente rigettata. Tra questi include la possibilità di restringere la libertà di oggi per proteggere quella di domani. Questa è la logica liberale che accetta l’obbligatorietà della cintura di sicurezza quando guidiamo: protegge la libertà del giorno dopo.
Il filosofo contemporaneo David Schmidtz, influente esponente del liberalismo classico, inquadra la libertà come potere di dire 'no', perché quel 'no' è la base su cui costruire relazioni umane e comunità fondate sul 'sì'. Quel 'no' non significa avere il diritto di espirare particelle di virus verso chi ci sta accanto. Quel 'no' potrebbe invece estendersi alla privacy quale incarnazione della libertà, laddove un governo volesse agire sul nostro corpo, imponendo la vaccinazione obbligatoria. Ma il green pass non è la vaccinazione obbligatoria. E quindi non vìola la privacy.
Ma anche se prendessimo quella che è forse la versione più radicale, non paternalista, di libertà negativa, quella del libertarianismo, si fatica a trovare argomenti a favore dei no-pass. Robert Nozick, sofisticatissimo pensatore contemporaneo e autore di 'Anarchia, Stato e Utopia', dice chiaramente che laddove l’azione individuale generi un rischio su altri, la pretesa della libertà come immunità diventa problematica. Si chiede allora come individui razionali e liberi risolverebbero il conflitto tra libertà e rischio in uno stato di natura, dove le istituzioni sono ancora da definire. Per Nozick semplifichiamo – ci sarebbero due possibilità: 1) vietare le azioni pericolose (il che equivarrebbe a giustificare la legittimità del Green Pass); 2) permettere le azioni pericolose (nel caso specifico, permettere di interagire nella società senza Green Pass), a condizione che gli agenti 'pericolosi' compensino gli altri (vale a dire richiedere ai no-vax e/o no-pass di risarcire in via preventiva la popolazione più responsabile). Ma Nozick con acuto pragmatismo si pone anche il problema di come amministrare il secondo regime, in un mondo in cui i 'pericolosi' (i no-pass) non abbiano le risorse per risarcire le 'vittime' o comunque non sia così semplice farli pagare. Senza compenso, infatti, il costo della libertà degli uni (quello di no-vax e nopass) verrebbe traslato sugli altri (i vaccinati), un’eventualità che Nozick non accetterebbe.
Sul piatto rimarrebbe allora solo la prima possibilità. Evidentemente i no-pass non conoscono Nozick, ma molti di loro intendono il Reddito di cittadinanza come 'meccanismo di risarcimento'; peccato che il pagamento vada nella direzione opposta. Se infine volessimo volare più alti e considerare la struttura metafisica della nostra libertà, i no-pass ancora una volta sono con le spalle al muro: la libertà è infatti la dimensione della nostra responsabilità morale. La dimensione della nostra partecipazione e compassione, come insegna l’illuminismo scozzese. Qualcuno direbbe della nostra coscienza. Più siamo liberi, più dobbiamo essere responsabili verso gli altri. Ma i disobbedienti non sembrano aver compreso questa proporzione: le responsabilità – per loro – sono da socializzare, a differenza dei benefici che invece vorrebbero mantenere privati.
È una brutta vicenda piena di contraddizioni, ignoranza e furbizia. Dove chi ne beneficia sono quei cinici senza virtù all’incetta di voti che sfruttano le contingenze della storia e le debolezze della gente. E giustificano i vizi umani, anche i più bassi, nel nome di un concetto di libertà senza cittadinanza. Fa bene il presidente del Consiglio Draghi a tirar dritto per la strada della responsabilità personale e collettiva, senza tentennamenti. Come un uomo libero farebbe.
Giurista ed economista, University of Arizona (Usa)